1 Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
Può succedere a tutti, nella vita, di attraversare un momento di sfiducia.
Accadde anche ad Elia che demoralizzato chiede al Signore di porre termine al suo ministero di profeta, proprio lui che sul monte Carmelo aveva dato una grande prova di forza. Ma con la vittoria sui sacerdoti di Baal si era inimicato la regina Gezabele che manda a dirgli che si vendicherà.
Elia, allora, scappa nel deserto, si siede sotto una ginestra e depresso chiede a Dio di morire: «Ora basta!». Come accadde anche ad Abramo (Gen 12,11-12; 20,2ss), Mosè (Nm20,12), Davide (2Sam 11).
Elia «si mette a giacere»: non ha voglia di cercare qualcosa da mangiare, un sorso d’acqua da bere, gli sembra meglio rifugiarsi nel sonno, anticipo della morte.
Un messaggero/angelo di YHWH, però, «lo toccò». Lo colpisce come a Gerusalemme d’improvviso l’angelo «toccherà» il fianco di Pietro che dorme in prigione e gli comanda: «Alzati/Risorgi» (At 12,7).
Anche ad Elia l’angelo comanda di risorgere: «Alzati, mangia!». Si ripete l’intervento provvidenziale già sperimentato durante la fuga iniziale al torrente Cherìt (1Re 17,4-6).
Il profeta, però, si solleva appena sui gomiti, mangia e beve solo per far contento l’angelo della provvidenza. Poi si rimette giù, a morire.
L’angelo lo colpisce nuovamente e gli rinnova l’ordine: «Alzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Ed Elia si alza, mangia e cammina grazie alla forza che gli proviene da quel cibo.
Dio rimette il suo profeta in cammino donandogli del pane. Questo è il suo stile. Egli interviene con l’umiltà e la povertà che hanno le cose essenziali: il pane, l’acqua, la luce, il riposo, il calore di una carezza, di una parola buona, un amico.
Nella conclusione dell’evangelo secondo Giovanni (Gv 21) ai discepoli delusi il Risorto prepara da mangiare sulla riva del mare di Tiberiade.
Il verbo «mangiare» indica tante cose, ma anzitutto il vivere. Mangiare è questione di vita o di morte. E Dio è anche così: una questione di vita o di morte.
Il problema diventa: chi crede di essere questo Gesù, figlio del falegname, che ha pretesa di presentarsi come pane di vita disceso dal cielo, che dice che chi assimila la sua proposta di vita sazierà la fame e la sete di senso (Gv 6,35)?
«Che cos’è?», si chiedeva chi accoglieva il dono della manna. «Chi è costui?», è la domanda di chi incontra il Maestro di Nazaret.
La risposta di Gesù a questa incredulità è da decifrare: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato». La scoperta del «pane di vita» non è tanto una conquista dell’uomo, ma un dono gratuito del Padre.
Ma come mai questo dono non è offerto a tutti? Dio favorisce forse alcuni e ostacola altri? A qualcuno fa incontrare il «pane del cielo» e ad altri lo rifiuta?
No. Dice il Maestro che «Tutti saranno ammaestrati da Dio». Ogni uomo è abitato dallo Spirito ed ha la possibilità di conoscere il Padre e Colui che ha inviato.
Non sempre, però, siamo docili al lavoro dello Spirito in noi: «solo chi impara da lui»accoglie Gesù.
Mangiare questo Dio fattosi carne, significa riconoscere che attraverso «il figlio del falegname» passa la rivelazione piena del volto del Padre; significa accogliere la sapienza venuta dal cielo anche se la si vede rivestita di carne. La vita di Gesù, vita terrena di uomo, è consegnata, offerta a noi come cibo da mangiare: quella carne fragile e mortale assunta dal Figlio è vita data, spesa, offerta.
L’Eucaristia è il cibo del cielo offerto per compiere quel cammino che a noi, come per Elia, pare sempre «troppo lungo».
Nel cammino è importante avere un angelo accanto che viene nelle sembianze di una presenza che attraversa la mia vita, forse un familiare, forse uno sconosciuto.
E ciascuno di noi può, a sua volta, essere questo angelo inviato agli altri, una presenza attenta, che sta vicino e aiuta a ritrovare la forza e la voglia di vivere.
Che il Signore ci aiuti a diventare, gli uni per gli altri, pane, angelo, compagnia nel deserto e oltre il deserto, su fino al monte di Dio.
Immagine: Barcellona, Sagrada Familia, Ultima Cena, di Josep Maria Subirachs (1987-2009).