La fede intesa non più come dottrina da insegnare, ma come esperienza da comunicare. È la grande sfida dell’annuncio cristiano. Oggi viviamo un tempo in cui le modalità tradizionali non funzionano più e si cercano con creatività strade nuove. Ne ha parlato Carlo Barolo, per il settimanale diocesano La Fedeltà, con Nives Gribaudo, fossanese di San Martino, che da marzo 2023 è nell’equipe formativa dell’Ufficio Catechistico Nazionale.
In diocesi di Cuneo-Fossano, Gribaudo è condirettore dell’ufficio catechistico, insieme a don Gabriele Mecca, e fa parte dell’équipe catechistica, dove segue in modo particolare la fascia 7-12 anni; inoltre, è nell’équipe di pastorale pre e post battesimale e in quella che si occupa dei sussidi per i tempi forti dell’anno liturgico.
Da oltre un anno sei nell’equipe formativa dell’Ufficio Catechistico Nazionale.
Sì, il direttore dell’Ufficio Catechistico nazionale (Ucn) mons. Valentino Bulgarelli ha incaricato il direttore dell’ufficio catechistico regionale della Lombardia di costituire questa équipe perché si occupasse della parte più laboratoriale dei convegni organizzati dall’Ucn.
Chi ne fa parte?
Si tratta di un’équipe formativa costituita da direttori di uffici diocesani e regionali, docenti e formatori che operano a livello nazionale a differenti livelli. Siamo in sette, provenienti da differenti regioni d’Italia: Piemonte, Lombardia. Lazio, Sicilia e Sardegna.
Di cosa si occupa questo organismo?
Inizialmente ci è stato affidato l’incarico di prenderci cura degli spazi laboratoriali nel contesto dei due ultimi Convegni nazionali dell’Ucn che si sono tenuti a Scalea, in Calabria, nel giugno del 2023, e a Roma nel febbraio 2024. In questi ultimi mesi ci siamo invece occupati di pensare, organizzare e gestire i workshop formativi per i direttori degli uffici catechistici diocesani di recente nomina che si sono tenuti a Iseo (sull’omonimo lago in provincia di Brescia), Nemi (un borgo ubicato nella zona dei castelli romani), Orosei (in Sardegna).
Raccontaci l’esperienza di questi mesi: come vi siete conosciuti e come avete lavorato insieme?
Personalmente li conoscevo quasi tutti in quanto abbiamo avuto modo, in passato, di incontrarci, confrontarci e percorrere insieme tratti di strada in ambito catechistico e formativo: qualcuno come formatore, qualcuno come compagno di viaggio, qualcuno lo conoscevo solo di vista.
La prima volta ci siamo trovati a Roma, convocati dal direttore Ucn, per trascorrere insieme una giornata che ci permettesse di conoscerci meglio, chiarire il nostro compito e sintonizzare i nostri sguardi sul medesimo spartito in modo tale da poter lavorare insieme in modo armonico e sinfonico. Dopo una prima inevitabile fase di “rodaggio”, direi che quasi fin da subito c’è stata una grande sintonia fra di noi, come se ci fossimo conosciuti e avessimo lavorato insieme da sempre. Ognuno era ben consapevole dei propri limiti e di quanto invece potesse condividere nel gruppo e questo ha favorito un buon lavoro di squadra dove ognuno ha potuto far tesoro della ricchezza degli altri e condividere i propri doni.
Tra le attività svolte ci sono stati i workshop formativi a cui accennavi prima, esperienze forti e coinvolgenti. Ci spieghi com’è andata?
Sono state esperienze davvero entusiasmanti che si sono tenute in un clima che oserei definire famigliare. Obiettivo dei workshop era quello di consegnare ai direttori di recente nomina una visione di catechesi e di ufficio diocesano così come è sono tratteggiate nel documento dei vescovi italiani del 2014 “Incontriamo Gesù”. In particolare, si è lavorato insieme, attraverso un principio di cooperative learning, su alcuni obiettivi: stile di leadership (intesa come capacità di condividere una visione, prima ancora che una prassi); consapevolezza dei soggetti, cioè dei catechisti di oggi, ai quali come direttori ci rivolgiamo; modello catechistico (la fede intesa non più come dottrina da insegnare, ma come esperienza da comunicare). Un modello in continua evoluzione perché, come dice Papa Francesco, siamo nel tempo della sperimentazione.
La metodologia del workshop si è rivelata vincente.
Sì, questa metodologia ovviamente richiede un tempo adeguato e un atteggiamento attivo dei partecipanti, chiamati ad assumere la responsabilità delle proprie idee e a vivere il momento di confronto a piccoli gruppi, in modo che ciascuno senta di partecipare alla formulazione di qualcosa di nuovo, di utile per tutti.
I workshop sono fondamentali perché conducono a risultati pratici, non solo teorici, cioè offrono degli strumenti che i partecipanti possono calare nella propria realtà. In altre parole, innescano dinamiche trasformative, che ti plasmano: esci diverso da come sei entrato.
Se ho capito bene, ciò che conta non è tanto il contenuto, quanto piuttosto il fatto che il percorso è immersivo, svolto insieme, alla pari...
Ovviamente il contenuto c’è, ma si trasmette in maniera differente rispetto al passato. Il confronto a piccoli gruppi (non più di 5-6 persone), per lo più attorno a tavoli sinodali, ha sicuramente favorito questa dimensione. Ed è stato bello vedere che tutti, davvero tutti, si sono lasciati coinvolgere in modo attivo e partecipativo. Anche coloro che inizialmente sembravano più restii, hanno ben presto capitolato, non perché costretti ma perché desiderosi di dare il loro contributo.
Cosa intendi per tavoli “sinodali”?
Sinodali, e per questo di forma circolare, in quanto ognuno aveva al suo interno presbiteri e laici, uomini e donne, giovani e meno giovani, provenienti da svariate parti d’Italia e quindi con differenti sensibilità ed esperienze alle spalle. Con l’obiettivo di favorire uno scambio tra persone alla pari.
È possibile calare a livello locale, in diocesi di Cuneo-Fossano, il percorso che stai vivendo nell’équipe nazionale?
Questa bellissima esperienza sta rafforzando sempre più in me la convinzione che lavorare insieme si può e, anzi, si deve, è indispensabile! In tanti ambiti, compreso quello ecclesiale. Ovvio che non sempre è facile. Occorre essere anzitutto motivati e determinati nel voler perseguire insieme l’obiettivo; non ci si deve scoraggiare di fronte alle prime inevitabili difficoltà. È fondamentale riuscire a scorgere, anche là dove sembra regnare il buio, qualche spiraglio di luce, accompagnati dalla certezza che in questa avventura non siamo soli, ma sempre Qualcuno ci aiuta e ci sostiene. Anzi, ci precede!
E certamente questa formula potrebbe avere una buona ricaduta a livello locale proprio in questo particolare periodo storico di cambiamento segnato da stanchezza, da scoraggiamento e da mancanza di entusiasmo. Se in ciò che fai esprimi entusiasmo, la gente se ne accorge. Perché, come dice spesso Papa Francesco, la fede si trasmette non per proselitismo ma per attrazione.
Dunque, questo “format” potrebbe anche essere riproposto, opportunamente adattato, nella nostra diocesi?
Credo proprio di sì, anzi, ne sono certa. Sto pensando in questo momento al progetto pastorale diocesano di riorganizzazione delle nostre parrocchie in una rete di comunità animate dal desiderio condiviso di seguire Gesù, sapientemente accompagnate dalla figura di un unico sacerdote.
Come aiutare queste comunità a camminare insieme, a gioire delle grandi opportunità che ci si dona reciprocamente? Come far sì che i laici possano sempre più operare attivamente al fianco dei sacerdoti condividendo con loro gioie e “dolori”, soddisfazioni e responsabilità nel coordinamento delle nuove Unità Pastorali? Come formare e valorizzare al meglio i nuovi ministri (accoliti, lettori, catechisti) che presto verranno istituiti senza creare sovrastrutture o correre il rischio di limitarsi a distribuire il “potere” nelle mani di pochi eletti?
Da cosa si potrebbe partire?
Sono convinta che serva una prima fase di presa di coscienza, di consapevolezza, che un workshop di questo tipo potrebbe favorire. Una sorta di anno zero in cui le persone, opportunamente guidate da un formatore, provano a condividere una visione.
Poi, per le persone che accettano la sfida e accolgono l’invito della loro comunità a mettersi in gioco, seguirà un idoneo percorso formativo. Ma prima di fare qualsiasi passo, occorre sicuramente fermarsi un attimo a riflettere: da dove arriviamo, dove siamo ora, dove vogliamo andare…
Come evitare che i workshop diventino l’ennesima riunione organizzativa pastorale per… preparare altre riunioni?
Il workshop è sostitutivo non aggiuntivo. Nel senso che il workshop diventa la modalità di lavoro e di confronto normale per prendere decisioni: ovviamente va studiato, calibrato e maneggiato con cura.