«Venite e riposatevi un po’»

XVI domenica del tempo ordinario

Ger 23,1-6; Sal 23 (22); Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

 

È comprensibile e giusto il desiderio che può sorgere di scappare, andare lontano dalla folla, dalle chiacchere, di restare soli e le occasioni non mancano per cercare pace e silenzio.

Tale desiderio non è solo dell’uomo, ma anche del credente.

Non è raro, infatti, in casa ecclesiale imbattersi nel pensiero di una beatitudine che sta nel ritirarsi, nascondersi, nel prendere le distanze dall’avventura della prossimità con l’altro. Il più delle volte si dice che una giornata «è stata bellissima» quando si è trovato il tempo per un andare lontano dal quotidiano e raramente si dice che una giornata «è stata bellissima»perché hai condiviso tempo, parole e pane con qualcuno, perché ti sei preso cura, ti sei chinato su chi si trova in una situazione di debolezza, perché hai dedicato energie nell’educare.

Fin dall’inizio del suo cammino terreno Gesù fu circondato dalle folle che lo cercavano per svariati motivi. E a quella folla il Maestro aveva inviato i discepoli che ora ritornano, forse stanchi ma anche entusiasti per com’era andata la missione, e si sentono rivolgere l’invito: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».

Cosa significa ritirarsi «in disparte» e «riposare»?

La pagina evangelica dice che questo «ritirarsi» non coincide con la distrazione e il divertimento. Infatti, quando Gesù e i dodici stanno per godersi il meritato riposo, la folla li raggiunge, anzi giunge prima di loro sulla riva del lago. Gesù vede questa folla ed è mosso dalla compassione che gli fa accantonare il legittimo bisogno di riposo.

La compassione dunque non è un semplice sentimento, ma è soprattutto la volontà e la capacità di cambiare progetto. Il riposo diventa il nutrire il desiderio di vivere e muoversi non più a partire da noi stessi e dai nostri interessi, ma dalla compassione per l’altro.

«Venite in disparte… e riposatevi un po’».

Forse, quella di Gesù per i suoi discepoli è la preoccupazione di una trasparenza: perché la presenza in mezzo alla folla sia buona, è necessario cercare un po’ di solitudine; perché la parola torni ad essere più vera, è necessario fare silenzio.

Sullo spontaneo desiderio dello spirito di riposo, di silenzio, di solitudine è necessario vigilare perché non sia quell’amaro e stanco desiderio di fuggire, di abbandonare il campo, di essere esonerati dal portare il peso degli altri.

Mosso dalla compassione, Gesù «si mise a insegnare loro molte cose».

Il riposo, il luogo solitario è per poter parlare, per offrire la testimonianza di una speranza.

Chissà se si riuscirà nelle comunità cristiane a cogliere la celebrazione eucaristica come un momento dove ci si riposa con il proprio Signore.

A volte si ha l’impressione che anche quel momento celebrativo debba produrre immediatamente dei frutti, dei risultati visibili, debba far parte in qualche modo della liturgia dei profitti.

Chissà se l’incontro con il Risorto favorisce la condivisione fra tutti quelli che cercano di fare tesoro di un tempo e di un luogo dove ci si scambia il piacere di riconoscersi umani e famigliari all’umano.

I sentimenti di compassione, così come la capacità di offrire parole di speranza dovrebbero nascere, per il credente, proprio dal riposarsi un po’ con il Vivente.

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