«Je t’aime, mon Dieu! Je t’aime Centrafrique!». Con queste parole padre Aurelio Gazzera salutava al termine della celebrazione di consacrazione che domenica 9 giugno nella cattedrale di Bangui lo ha consegnato come vescovo al popolo di una chiesa locale della Repubblica Centrafricana. Le parole di padre Aurelio stanno a richiamare quel “solo Diòs basta!” di S. Teresa d’Avila, riformatrice dell’ordine dei carmelitani, la cui spiritualità è fonte e forza di tutta l’attività evangelizzatrice del nuovo vescovo. Ma sono anche una conferma di quell’amore con cui padre Aurelio, ormai da trentatre anni, si è consegnato ad un popolo fra i più poveri e sofferenti del continente africano e del mondo. Sono altresì un rimando alle parole scelte dal nuovo vescovo per il suo stemma episcopale: “Tu cognoscis quia amo te” (Gv. 21,17), “Mo inga mbi ye mo” (in sango, lingua locale), che abbiamo sentito ripetere infinite volte, specie nei canti, nelle giornate che abbiamo condiviso con padre Aurelio. Con don Carlo Berrone, don Beppe Panero e don Gabriele Mecca sono stato testimone di una giovane chiesa, gioiosa nella sofferenza, e di un pastore “con l’odore delle sue pecore”.
La prima evangelizzazione
Siamo stati sulle rive del fiume Obangui, che dà il nome alla capitale, affluente del grande fiume Congo. L’altra riva già è territorio della Repubblica Democratica del Congo. Centotrent’anni fa (1884) i primi missionari risalendo i fiumi hanno portato qui il Vangelo: non potendo procedere oltre per le rapide del fiume, si sono qui stabiliti ed è nata la prima chiesa in Centrafrica.La prima chiesa edificata, oggi parrocchia di Saint Paul, è adiacente alla sede dell’Arcivescovado, dove siamo stati ospiti del Card. Dieudonnè Nzapalainga, e al seminario minore diocesano. Nelle celebrazioni a cui abbiamo partecipato, attraverso la danza di introduzione della Parola, sempre si è fatto rimando al Vangelo arrivato attraverso il fiume: il libro della Parola, portato tra la gioia della danza e il movimento delle pagaie mosse dalle braccia dei primi missionari.
Un vescovo e il suo popolo
Tre ore di celebrazione, tanto è durata la messa di consacrazione episcopale domenica 9 giugno nella cattedrale di Bangui. Preghiera intensa; Parola ascoltata e riletta in tanti modi, nel canto e nella danza; festa di cuori felici e grati. Nel ricordare al nuovo vescovo che «ci sono uomini e donne che attendono di ricevere da te la Parola di Dio che conforta e dà ali ai loro sogni, i sacramenti che fanno crescere in loro la vita di Dio» il cardinale ha espresso la missione del vescovo con parole particolarmente forti: «Sarai chiamato a diventare la voce dei senza voce, a prendere posizione davanti a realtà sociopolitiche ed economiche in forza della tua fede e del Vangelo. La Chiesa non può tacere, per non rendersi complice, quando la dignità della persona umana è calpestata, quando predominano strutture socioeconomiche e politiche ingiuste, che favoriscono l’arricchimento di chi già è ricco e accentuano lo sfruttamento dei poveri, quando è versato sangue innocente, quando si uccidono esseri umani impunemente, senza che questo inquieti le coscienze, come se si schiacciassero delle mosche!».
Nel cuore della famiglia carmelitana
Aurelio è un frate della famiglia dei carmelitani scalzi della provincia ligure. Fin dall’adolescenza si è immerso nel carisma del Carmelo, partendo da Cuneo, studiando nel seminario di Arenzano (GE) e compiendo i passi successivi del noviziato e della professione fino al sacerdozio. Scrive padre Aurelio: «Ho accettato (di essere vescovo) per amore della Chiesa. L’anello del pastore è il segno di questa fedeltà. Dalla Chiesa ho ricevuto tutto: la Fede, la Speranza e la Carità. Ho accettato per amore del Carmelo. Santa Teresa d’Avila è morta dicendo: “Sono figlia della Chiesa”. La mia vocazione è nata al Carmelo. Malgrado la mia miseria e i miei limiti, i Carmelitani sono sempre stati la mia famiglia». Ecco perché il giorno successivo alla sua ordinazione siamo stati con padre Aurelio immersi nel mondo e negli ambienti del Carmelo di Bangui, dove si sta ultimando il nuovo monastero a cui lo stesso padre Aurelio ha dedicato tante energie e giornate di lavoro. Padre Davide, confratello carmelitano e amico di Aurelio così parla di lui: «Ha messo piede in Centrafrica la prima volta nel 1982 e la terra rossa africana è entrata nei peli della sua barba e del suo cuore. Per dare un’idea della sua silhouette longilinea, il pe. Carlo Cencio così l’ha descritto: “Là dove fissa al muro uno specchio, molti altri devono salire su una sedia per farsi la barba!”. Ha pochi capelli in testa, ma un sacco di idee. Sembra un vulcano che non dorme mai. Un bravo organizzatore nella pastorale dei sacramenti, ma anche nella falegnameria, l’agricoltura, l’ edilizia … le sue chiese e cappelle, pur se lontane in piccoli villaggi, sono sempre abbellite da pitture e sculture locali. Per distendersi e distrarsi si mette a impastare e pasticciare nella sua cucina. Suscita l’ammirazione di Presidenti, Ambasciatori e Ministri, ma anche “le attenzioni” dei banditi armati a cui ha fatto “piegare i fucili” … Tutti lo cercano e … solo per fortuna, una notte i ribelli non l’hanno trovato! Fiero cittadino (onorario!) di Cuneo, se vuoi essergli amico parlagli in piemontese. Dal cielo veglia su di lui la mamma Teresa, e Marisa, sua sorella, lo segue ovunque. Gli piace leggere, e forse non avrebbe mai immaginato che un giorno, novello don Camillo, sarebbe diventato … monsignore … ma non troppo!».
Pastore di Bangassou
Padre Aurelio è stato nominato vescovo coadiutore di Bangassou, città ad est di Bangui, distante dalla capitale 750 km circa. La diocesi ha 580.000 abitanti, su un territorio grande quasi la metà dell’Italia (135.000 kmq). La città si raggiunge nel modo più rapido con aerei di piccolo cabotaggio, oppure qualche giorno di navigazione sul fiume Obangui. Per accedervi attraverso la strada, dalla capitale sono necessari 5 giorni o forse una settimana, tanto sono disastrate e impraticabili le strade! Dal 2015 la popolazione ha vissuto nel terrore per le stragi, le razzie, i massacri di bande armate ribelli e rivali, come in una guerra civile. In particolare queste bande, costituite prevalentemente da combattenti musulmani, hanno infierito sui cristiani. Dal 2018 il territorio è controllato da alcune centinaia di mercenari russi Wagner, che hanno fatto deporre le armi ai ribelli, ma in cambio sfruttano le miniere d’oro, diamanti e portano fuori altre ricchezze del paese. Mons. Juan Josè Aguirre Munoz, comboniano e vescovo titolare di Bangassou ci dice che sono da ringraziare i mercenari della Wagner per l’opera di contenimento della violenza fratricida … Ma a che prezzo!
La comunità di Bangassou che vive a Bangui si è riunita in una parrocchia della capitale per festeggiare il suo vescovo e celebrare l’Eucaristia nel giorno di S. Barnaba. Ci siamo uniti alla festosa celebrazione presieduta da mons. Aurelio con la presenza del Card. Dieudonné. La gioia è esplosiva e si manifesta in una interminabile processione all’offertorio in cui al nuovo pastore sono stati offerti una quantità sorprendente di doni (fino a conigli, galline e capretti …). Il giorno seguente, caricati su di un camion, il tutto è partito per Bangassou e arriverà a destinazione solo una settimana dopo. L’amore e la solidarietà del popolo verso i suoi pastori è commovente! Padre Aurelio ci racconta della messa che il 7 aprile ebbe a celebrare in una delle 12 parrocchie di Bangassou, di aver benedetto una bimba di pochi giorni, una orfana. Il parroco aveva domandato all’assemblea se ci fossero 2 papà e 2 mamme che avrebbero accettato di essere “i genitori” della piccola. Immediatamente si sono presentati dei volontari che si sarebbero occupati in tutto di lei.
Ritorno alla missione di Bozoum e Baoro
Mentre per noi è arrivata l’ora di prendere la strada del rientro in Italia, padre Aurelio è partito col suo fuoristrada al mattino presto, accompagnato dalla sorella Marisa, dal cognato Flavio e dal carmelitano padre Ezio. Ci sono circa 400 km da percorrere verso nord-ovest fino a Bouar, la diocesi in cui ha prestato servizio fino ad oggi, in modo diverso nelle missioni di Bozoum e Baoro, come parroco, responsabile Caritas della diocesi, direttore di scuole e asili infantili …
Non siamo più testimoni diretti dell’affetto del suo popolo, ma riviviamo la gioia delle celebrazioni attraverso le foto e ai commenti che hanno continuato a raggiungerci.
Chiudo questo scritto con le parole stesse di padre Aurelio ad un giornalista dell’agenzia SIR: «Quando sono rientrato a Baoro hanno fatto un corteo con le moto, mi hanno accompagnato gli ultimi 2 km e siamo andati a piedi alla parrocchia. La stessa cosa a Bozoum. Per me questa è una carezza del Signore: quando affida un impegno, un peso così importante, dà anche la grazia di accoglierlo. E la preghiera e l’affetto di tantissima gente è veramente un balsamo che mi aiuta giorno dopo giorno a cercare di entrare sempre più in questo mistero che è l’episcopato!».
GRAZIE, padre Aurelio … Buona Missione!