At 4,32-35; Sal 118 (117); 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
«Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25) così dicono gli altri apostoli, ma Tommaso non presta ascolto alla loro parola, come a quella delle donne. Vuole affidarsi agli occhi e non agli orecchi.
Perché? Forse perché al centro del suo interesse ci sono le piaghe. Desidera vedere i segni dei chiodi, si propone di toccare con il dito la piaga del costato.
In quel modo Tommaso pone l’accento su una verità che sta al cuore della fede: il Risorto è Gesù crocifisso. La sua esclamazione finale: «Mio Signore e mio Dio», comunica questa verità: il nostro Dio è piagato. Giovanni, a chiusura della scena della crocifissione, aveva scritto: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37; Zc 12,10).
Effettivamente, il Verbo fatto carne, una volta entrato nella sua gloria, porta i segni della sua passione: il passato va redento, non cancellato.
Una volta lo scrittore argentino Jorge Luis Borges chiese a un cieco nato cosa fosse la vista (tra l’altro, anche il grande poeta argentino, vissuto in mezzo ai libri, in età avanzata, divenne non vedente; egli però sapeva che cosa era la vista). Borges ottenne dal suo interlocutore, a cui era ignota la luce, questa risposta: il cieco disse che si era reso conto che gli altri esseri umani erano dotati di un senso che consentiva loro di toccare le cose da lontano (questa era per lui «la vista»: toccare le cose da lontano).
Per chi non vede, il tatto è un organo paragonabile alla vista.
Tommaso vuole vedere toccando: desidera avere la garanzia che il Risorto non ha deposto la carne. A lui non è sufficiente ascoltare la parola e neppure il semplice vedere: la vista deve sfociare nel tatto.
Tale progressione «ascolto – vista – tatto», è evocata all’inizio della prima lettera di Giovanni: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita (…) quello che abbiamo veduto e udito, noi annunciamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,11).
Udito, vista, tatto sono all’origine dell’annuncio.
Come scrive san Paolo, la fede procede di generazione in generazione, affidandosi al solo udito (Rm 10,17). Ma l’esistenza del credente ha anche a che fare con la vista e il tatto. Là dove non ci si guarda negli occhi e mancano gli abbracci e la cura, la vita della comunità dei credenti non è piena. La fede nasce sì dall’udito, ma si accresce anche attraverso la vista e il tatto
L’episodio di Tommaso si conclude con la parola di Gesù che proclama beati coloro che non hanno visto e hanno creduto.
Una sola altra volta nel quarto Vangelo torna la qualifica di «beato», in occasione della lavanda dei piedi. Terminato il suo servizio, Gesù afferma: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto a voi (…) Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17).
Si è beati quando si crede senza vedere, ma si è anche beati quando si vede e si tocca, lavandosi i piedi a vicenda.
Proprio questi due atti costituiscono le polarità della fede, che inizia con l’ascolto e si concretizza con un servizio reciproco.
La beatitudine comporta tanto il credere senza vedere quanto il vedere e il toccare, tipici dell’amore vicendevole: «Chi, infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).
Immagine: Caravaggio, l’Incredulità di San Tommaso (1601)