Un incontro che non si può improvvisare

XXXII domenica del Tempo ordinario

Sap 6,12-16; Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

Stando al versetto iniziale, le ultime tre parabole del vangelo di secondo Matteo sono presentate da Gesù ai suoi discepoli sul monte degli Ulivi (cfr. 24,3) in prossimità degli eventi della passione, per dire la realtà dinamica del Regno che non è simile a tempi eterni e immobili né a spazi immensi e immaginifici ma a vergini che si preparano, chi con intelligenza chi con superficialità, si addormentano e si svegliano, dimenticano e chiedono, cercano e gridano, entrano o restano escluse; simile ad una festa di nozze alquanto anomala, celebrata in una sala che ha più l’aria d’essere un’aula di tribunale che un banchetto, con uno sposo che tarda ad arrivare e ad una sposa di cui non v’è traccia; simile alla saggezza di una veglia, all’attesa di un incontro e alla gioia di un’unione.

E il ritardo dello sposo accomuna le tre parabole poste a cavallo dei capitoli 24 e 25 del vangelo secondo Matteo: è il caso, oltre che delle vergini che attendono lo sposo, tanto del servo a cui il padrone ha affidato i propri beni (Mt 24,45-51) quanto di chi ha distribuito ai propri servi i talenti per tornare solo dopo molto tempo (Mt 25,19).

Quando la durata si allunga è comprensibile che le palpebre si appesantiscono. Ed infatti, la voce non impone di restare desti, ma ad essere solleciti nello svegliarsi. Occorre un cuore capace in qualche modo di vegliare anche quando si sta dormendo.

Certo che la parabola comunemente chiamata come quella delle dieci vergini, per certi aspetti è un po’ strana: una festa di nozze con dieci ragazze che attendono lo sposo di notte e un promesso sposo che arriva quando vuole, senza rispettare gli orari: che senso ha? E la sposa dov’è?

La parabola fa certamente riferimento al contesto culturale e sociale del tempo di Gesù per quando riguarda le nozze. Ma più che capire come avvenivano le nozze, la cosa importante è l’immagine delle nozze. L’incontro atteso è una festa, un momento di grande gioia, una occasione di una vita nuova. Tutti i personaggi sono come avvolti da questo clima: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo». Si va incontro a qualcuno che si attende, a qualcuno che si desidera incontrare.

Ma questo incontro avviene nella notte e quindi c’è bisogno di luce per poter attendere nel buio e nell’incertezza. E qui si scopre la diversità: «Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi». La diversità non è tanto nell’essere svegli o no, ma nella accortezza di prender con sè oppure dimenticare l’olio che alimenta le lampade. Infatti, tutte dormono nell’attesa che si prolunga. Ma al momento in cui si sente l’annuncio dell’arrivo dello sposo, quelle che hanno preso l’olio per le lampade possono correre incontro, mentre quelle che l’hanno dimenticato devono correre a comprarselo, con il rischio di non arrivare in tempo.

La fatica di vegliare accumuna tutte e dieci le vergini. La vigilanza non sta qui. Questa si gioca nella relazione con lo sposo. Le vergini sagge conoscono lo sposo, la sua imprevedibilità, la sua novità che rompe ogni schema atteso. Per questo, sapendo che può arrivare da un momento all’altro, tengono tutto pronto, soprattutto quelle lampade che permettono di andare incontro allo sposo e vedere il suo volto.

Le vergini stolte dimenticano che un incontro non si può improvvisare.

La sapienza non sta solo nell’attendere, ma nel vivere questa attesa nella ricerca, nella pazienza che desidera l’incontro. Il tempo presente, giorno dopo giorno, ci è offerto per questo, e seguendo il Maestro, si rimane sempre in relazione con lui: attendendolo impariamo a conoscerlo, a scoprire alcuni tratti del suo volto, ad assumere il suo stile, ad amare come lui ama. È come mettere ogni giorno dell’olio nelle nostre lampade: queste rimangono sempre pronte anche se noi non siamo sempre pronti, ci addormentiamo.

Così prepariamo l’incontro con il Signore. Non perché sappiamo con precisione quando lui viene, ma lo prepariamo perché abbiamo la luce per riconoscerlo. Se non sappiamo riconoscerlo ogni giorno, se lasciamo che la lampada si affievolisca o si spenga, non sapremo riconoscerlo alla fine. E non dobbiamo stupirci se lui ci dirà: «In verità io vi dico: non vi conosco».

Gesù non viene solo al termine della nostra vita, viene in ogni istante e vuole trovare i suoi discepoli impegnati nel servizio, nel dono di sé al fratello. Nella loro stanza, la lampada deve essere sempre accesa, come punto di riferimento e richiamo di speranza per il povero in cerca di aiuto, per l’emarginato e lo straniero che invocano amore e giustizia, per la donna che chiede rispetto, per chi è vittima di violenza e anela alla pace, per chi ha sbagliato e ha bisogno di comprensione e di perdono.

Vigilanza, attesa, incontro del Signore Gesù: danno la qualità alla nostra vita ogni giorno, a ciò che facciamo e a ciò che desideriamo, anche se poi tutto può avvenire nella fatica di restare sempre svegli. Ma la fatica e la pazienza di preparare ogni giorno questo incontro avrà una apertura inaspettata: lo stupore di scoprire che il Signore stesso ci ha atteso da sempre e da sempre ha desiderato incontrarci.

 

 

Immagine: William Blake, La parabola delle vergini sagge e stolte, 1799-1800.