Il vangelo di domenica scorsa presentava la guarigione di un sordomuto: Gesù per guarirlo gli pone le dita negli orecchi, quasi a renderli capaci di ascolto. Il profeta Isaia dice che il Signore si è comportato con lui allo stesso modo: «Mi ha aperto l’orecchio» e continua: «io non ho opposto resistenza». (Is 50,5)
Isaia ha lasciato che Dio gli parlasse.
Dal vangelo di questa domenica possiamo immaginare Gesù che ci apre gli orecchi per dire: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». E il discepolo, può rispondere come Isaia: «non oppongo resistenza a questa prospettiva di vita».
Anche se non è facile. Pietro dimostra che non la accetta, così come non accetta che questa sia la prospettiva per il suo Maestro. Il testo di Marco 8 si trova a metà del primo vangelo: è la cosiddetta «svolta di Cesarea di Filippo» dove Gesù fa il suo primo annuncio della passione. Annuncio preceduto dalla domanda: «La gente chi dice che io sia?». E poi, rivolto ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Per comprendere quest’episodio, si dovrebbe includere anche la scena precedente, dove si descrive la strana guarigione del cieco di Betsaida.
Gesù dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli chiese cosa vedesse. Questa la risposta: «Vedo la gente come degli alberi che camminano». Gesù gli impose ancora le mani; solo allora vide distintamente ogni cosa. Si passa dalla cecità alla vista confusa, per giungere a una visione chiara. Il Maestro chiede ai suoi discepoli cosa la gente dice di lui. La prima risposta è confusa (simile a quella degli alberi che camminano): c’è chi dice Elia, chi Giovanni Battista, chi un altro profeta. Non si tratta di cecità completa. Gesù è colto come una figura d’eccezione, tuttavia lo sguardo è ancora confuso.
Occorre un secondo momento dove Pietro vede nitidamente: «Tu sei il Cristo».
Cosa significa essere il Cristo? Gesù lo spiega preannunciando la sua Pasqua di morte e risurrezione.
Ora a diventar confuso è lo sguardo di Pietro. O meglio: vede bene, ma è proprio questo a spaventarlo: perché un Messia «deve» passare per la sofferenza e la morte? Attorno a questo punto esplode il contrasto tra Gesù e i suoi.
Colui che aveva appena chiamato Gesù «il Cristo», si vede apostrofato con il titolo di «Satana».
«Chi sono io per te? ».
Attorno a questa domanda si gioca la fede di ciascuno. L’intento dei vangeli, è questo: se vuoi sapere Dio chi è, guarda a Gesù. Dio è quel modo di vivere, quel modo di morire, quel modo di risorgere. Per questo Gesù dice a Pietro: «Stai dietro di me», perché chi è Dio te lo rivelo io.
Al termine del vangelo di Marco il centurione vedendo Gesù morire in quel modo, dirà: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio». Gesù ha vissuto ciò che ha detto: chi perde la propria vita la salverà. Pietro è nuovamente invitato a obbedire a quella voce udita al tempo della chiamata lungo il mare di Galilea: «Venite dietro a me».
Il posto del discepolo è sempre quello: stare «dietro» al Maestro per imparare a dire di «no» a sé stessi e dire di «sì» ad un Altro.
Immagine: Luca Giordano, Crocifissione di San Pietro, 1660