Qual è il volto di Dio?

II Domenica di Quaresima

Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

 

Sovente nell’Antico Testamento si legge il desiderio dell’uomo di vedere il volto di Dio. E nella fede, crediamo che al termine della nostra vita «saremo simili a Dio e lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,6).

Pietro, Giacomo e Giovanni, su un alto monte vedono il volto di Gesù, un volto trasfigurato, bello, splendente di luce.

Nella narrazione di Marco, la trasfigurazione di Gesù può essere letta come un momento di incoraggiamento per i discepoli ai quali appena prima – nella cosiddetta «svolta di Cesarea di Filippo» (Mc 8, 31-33) – Gesù aveva annunciato la prospettiva della croce, e quindi lo sfiguramento del suo volto.

Sul tema della ricerca del volto divino, il racconto del «sacrificio di Abramo» rappresenta una sfida. Come può Dio chiedere ad Abramo il sacrificio del figlio?

Il racconto non chiarisce le motivazioni per cui il Signore avrebbe bisogno di provare la fiducia del suo servo: regna il silenzio. Silenzio di Dio, silenzio di Abramo, silenzio del giovane Isacco che si fida di suo padre. Abramo è sottoposto ad una prova e nella prova l’uomo si conosce, sa che cosa abita il suo cuore e nello stesso tempo conosce anche l’altro.

In questa dura prova Dio conosce Abramo e Abramo conosce Dio.

Il silenzio sul «perché», mantiene accesa l’ipotesi che Abramo non sia chiamato a uccidere suo figlio, ma semplicemente a verificare quanto sia disposto a non impossessarsene.

Isacco è più di un figlio. In lui, giunto in tarda età, è racchiusa per Abramo e Sara una discendenza, un miracolo, il senso della vita. Sacrificando Isacco, Abramo rinuncia a tutto questo, alla sua paternità per appoggiarsi unicamente alla Parola di Dio. Non è il figlio Isacco ad assicurargli la posterità, ma solo la Parola del Signore.

E ascoltando la voce del Signore, Abramo impara qual è il vero volto del Signore.

Così anche Pietro – e gli altri – sono chiamati da Dio ad ascoltare la parola del Figlio per comprendere qual è il Suo volto e non avere paura: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8,31-32).

Nella trasfigurazione, Gesù rivela l’ultimo volto dell’uomo. Il viaggio della nostra vita trova la sua meta: avremo anche noi un volto di sole.

La visione trasfigurata del volto di Cristo, porta Pietro a dire: «è bello per noi stare qui». Intuendo cosa accadrà al suo Maestro, sa che è molto meglio non scendere mai più.

Anche Mosè era salito sul monte, aveva incontrato Dio. Poi quando era disceso aveva trovato un popolo dalla dura cervice che in fretta era tornato ai suoi idoli. Forse anche desiderò lasciare quel popolo incorreggibile e finire i suoi giorni sul monte.

Allo steso modo Elia era fuggito sul monte per scappare da un popolo che non sopportava le sue parole.

Come per Mosè ed Elia, anche per Pietro il monte rischia di diventare un rifugio. L’errore di Pietro sta nel credere che l’emozione spirituale della trasfigurazione duri per sempre. L’uomo invece cammina tra due monti, il Tabor e il Calvario. Ma solo se hai visto la luce del Tabor puoi affrontare il grande buio del Calvario.

Nelle prove della vita si avanza grazie anche alla forza che viene dagli istanti di luce, momenti luminosi, presagi della Pasqua da conservare nella memoria.

Quella di Mosè ed Elia sul monte, però, non fu una fuga, ma una pausa per poi riprendere il cammino.

E perché potesse parlare fino a noi, fu necessario che il Figlio scendesse dal monte e riprendesse il cammino verso Gerusalemme.

Anche noi che siamo creati ad immagine e somiglianza di un Dio che dona tutto ciò che è e che ha, possiamo riprendere il cammino nella fiducia di eliminare dal nostro cuore il sospetto che Dio ci chieda più di quanto ci dona.

 

 

 

Immagine: Boris Subotic, Il sacrificio di Isacco (2020)