La vite potata «piange»

V Domenica di Pasqua

At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Più volte la Scrittura utilizza l’immagine del vino, dell’uva, della vite, della vigna per dire la condivisione della vita Dio con quella dell’uomo.

Ma quello della vite non è solo un simbolo, è piuttosto una drammatica storia di amore: Israele è come un germoglio di vite che Dio sceglie e pianta in un campo ben protetto, lo cura amorevolmente, fa di tutto perché questa vite possa produrre un frutto abbondante. Purtroppo, questa vite così teneramente curata, resta sterile, infeconda, incapace di corrispondere alle attese di colui che l’ha coltivata.

Ma nella sua vigna, Dio pianta un germoglio e un frutto che rimarrà per sempre e da quel frutto ogni uomo potrà trarre il vino nuovo della gioia. Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore… È Gesù quella vite che produce solo uva buona.

Ma il Maestro aggiunge: Io sono la vitevoi i tralci: noi facciamo parte di quest’albero, anzi siamo un tutt’uno con esso, apparteniamo a questa unica vite, siamo addirittura i portatori del frutto della vite.

Ma tutto ciò è possibile ad alcune condizioni.

La prima è rimanere in lui. Sette volte ritorna questo verbo in Gv 15,1-8.

RIMANERE. Infatti, se un tralcio non rimane attaccato al tronco della pianta, non solo non porta frutto, ma la vita che ha in sè muore, si secca. Essere parte della pianta è dunque la condizione per vivere. Per il discepolo questo significa riconoscere che la vita vera la riceve da Gesù, come la linfa che scorre in noi e ci rende fecondi. Senza questa forza che viene comunicata nel dono dello Spirito, non possiamo far nulla: chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Rimanere in Cristo vuol dire entrare in una relazione, fermarsi/rimanere e lì porre la dimora del proprio cuore.

PORTARE FRUTTO. C’è una seconda condizione che è richiesta al discepolo-tralcio. Anche noi, come la vera vite, dobbiamo corrispondere alle attese del vignaiolo. La vite è coltivata non per ornamento, ma perché dia a tempo opportuno il frutto buono dell’uva. Il frutto è essere discepoli di Gesù e come lui essere portatori di vita e di gioia evangelica, senza preoccuparsi troppo del nostro frutto: ci sarà chi saprà scoprirlo, raccoglierlo, gustarlo.

POTATURA. Infine c’è una ultima condizione, necessaria per portare frutto. Essere potati. Perché il frutto maturi buono e sano, la potatura è un taglio per lasciare crescere la vita. Dunque è un taglio per la vita. Ma c’è anche un taglio per la morte: quello del tralcio che non porta frutto e secca.

Nella vita del discepolo, come di fatto nella vita di ogni uomo, per crescere e maturare, sono necessari dei tagli: quante cose, persone, realtà dobbiamo abbandonare per aprirci a nuovi cammini. Tutti siamo consapevoli che certi nostri pensieri e comportamenti non portano frutti buoni in noi e negli altri. Ma sappiamo bene che se non abbiamo il coraggio di fare questi tagli, a volte molto dolorosi, rimaniamo senza frutti.

Un taglio che produce pianto. Si parla del «pianto della vite»: infatti, nel punto dove viene tagliata, dalla vite fuoriescono delle «lacrime», piccole goccioline di linfa, che risalgono il legno della vite e fuoriescono.

È difficile tagliare, purificare, potare. Ma come discepoli di Gesù, siamo anche consapevoli che c’è qualcuno che ci aiuta a fare questi tagli: il Vignaiolo, che ha cura più di noi della nostra vita e conosce il frutto che dobbiamo portare. A noi è chiesta solo la docilità e la grazia di accettare e di comprendere, anche se non subito e non sempre del tutto, la bontà e la fecondità di questa potatura: ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto.

È importante lasciare che a potare sia il Vignaiolo, perché noi a volte adottiamo metodi di potatura che non sempre sono buoni. Il Signore che conosce la nostra debolezza, sa che siamo un popolo di dura cervice, lenti a credere.

La Parola di Dio è una spada che fa la verità dentro di noi.

Se rimaniamo attaccati alla Vite, il Maestro ci darà la forza per intuire e attuare le potature necessarie per portare frutto, addirittura in modo abbondante.