La voce del buon Pastore

IV Domenica di Pasqua

At 4,8-12; Sal 117; 1 Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Nel vangelo del Buon Pastore, si accenna anche alla voce di Gesù: «Le pecore ascoltano la voce del pastore; lo seguono perché conoscono la sua voce». Non seguiranno un estraneo, «perché non conoscono la voce degli estranei».

Le pecore hanno un campo visivo ridottissimo, sono quasi cieche, ma il loro udito è raffinatissimo. Una pecora madre potrebbe riconoscere il belato del proprio piccolo tra centinaia di agnelli e così il cucciolo verso la madre.

In Genesi, Adamo si nasconde all’udire la voce di Dio; il profeta Geremia invita il popolo ad «ascoltare la voce di Dio». Nel Cantico dei Cantici l’amato dice all’amata «fammi vedere il tuo volto, fammi udire la tua voce». E nell’episodio della caduta da cavallo di san Paolo, quelli che erano con lui non videro nulla, ma «sentirono solo una voce». Pietro nel suo tradimento è stato tradito dall’accento vocale (dal dialetto).

L’interesse evangelico per la voce di Gesù non è un contorno, ma coglie il centro del suo mistero, poiché ciò che è proprio dell’uomo non sempre «viene a parola», ma sempre «viene a voce»: come il lamento, il pianto, il grido, il singhiozzo, il sospiro, il riso … un tono alto o basso; un timbro potente, dolce, violento, remissivo, sano o malato.

Difficile conoscere qualcuno prescindendo dalla sua voce.

Chissà con che voce il Signore avrà detto: «Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi», con qual voce pronunciò: «Guai a voi!», con che voce disse all’adultera: «Neanch’io ti condanno» e a Zaccheo: «Scendi subito!». Come avrà detto: «Questo è il mio corpo»?

Alcune parole hanno radice nel latino vox e hanno a che fare con la voce: in-vocare, e-vocare, ri-evocare, pro-vocare, con-vocare, av-vocato.

La voce dice anzitutto una presenza. Quando si entra in una chiesa, prima di una parola, sarebbe bello sentire una voce, cioè la presenza del Vivente.

Quando nasciamo siamo in-fanti, cioè non parlanti, ma abbiamo una voce per gridare, piangere, urlare. Per molti mesi il bambino sarà solo voce e i genitori ascoltano quella voce e si esprimeranno più che con le parole con voci, suoni…

Il bimbo intende la voce dei genitori e, pur non comprendendo nessuna parola, intuisce la loro cura, l’affetto, come pure la tensione e la preoccupazione. E da adulto è facile sentire il timbro della voce del padre in quella del figlio. La tua voce prende forma riecheggiando altre voci e poi nel tuo corpo risuona con un timbro e un tono unico, tutto tuo.

Questo dice che ben prima di andare a catechismo l’identità di una persona è catechistica (dal greco kath’echo – attraverso l’eco). La nostra fede si forma attraverso la voce di altri che sono un’eco all’evangelo

Allora, se le cose stanno così, non può stupire l’interesse evangelico per la voce del Signore. La gente si sarà fidata di Gesù Cristo forse anche perché il tono della sua voce rivelava qualcosa, una familiarità, una speranza.

E se c’è una risurrezione della carne, non può non esserci una risurrezione della voce. Giovanni lo scrive: il corpo e le parole del Risorto, in quel momento, poteva­no esser confuse con quelle del giardiniere, ma la voce che la chiamò «Maria!» poteva essere solo quella di Gesù (Gv 20,16).

Chissà: la risurrezione forse sarà anche questo, sentire la voce del Signore che ci chiama per nome. Starà a noi riconoscerlo come il buon pastore, come voce amica e conosciuta.

 

 

Immagine: Il Buon Pastore dei Musei Vaticani dalle catacombe di san Callisto