«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi»

Santissima Trinità

Es 34,4-6.8-9; Dn 3,52-56; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18

Immaginiamo il catechismo ancora nella forma domanda – risposta. Alla domanda «Come le Scritture parlano della Trinità o della Tri-unità che è Dio?», la risposta potrebbe essere presa dalla Dei Verbum (costituzione dogmatica emanata dal Concilio Vaticano II riguardante la «Divina Rivelazione» e la Sacra Scrittura, uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II). Eccola: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cf.Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti il Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto» (Dei Verbum, n. 2).

Un po’ difficile come risposta, dirà qualcuno. Vero. Però è così che le Scritture parlano della Trinità o della Tri-unità che è Dio. La Dei Verbum spiega che le Scritture, di Dio raccontano e descrivono quello che egli vuole e fa, mentre dicono molto meno quello che egli è. O meglio: dicono Dio chi è, attraverso quello che vuole e fa.

Questo aspetto di fondo – il binomio rivelazione/relazione, cioè che Dio lo si può conoscere se e perché si rivela, e si rivela come relazione – è possibile notarlo già nella storia dell’Esodo, racconto fondativo della realtà e dell’esperienza d’Israele.

La biblista Stefania Monti scrive che «le rivelazioni/chiamate rivolte ai patriarchi erano centrate sull’individuo, o al massimo su una discendenza promessa. Il monoteismo biblico implica dapprima un Dio e un uomo di fronte a lui; ma con l’Esodo la prospettiva diventa un Dio e un popolo in un rapporto di reciprocità. Anche e soprattutto quando il popolo tradisce la fiducia di Dio».

In Es 3,14 Dio si rivela specialmente come colui che è fedele: questo è il suo nome. Fedeltà di Dio che si manifesta ancora di più come tale in Es 34, dopo l’episodio del vitello: lì la fedeltà divina prende anche il colore del perdono. È il Dio (34,6) «visceralmente misericordioso, compassionevole, non facile ad adirarsi, ricco di benevolenza e di fedeltà». Soprattutto egli conserva il suo amore per mille generazioni e punisce fino alla terza e alla quarta generazione (cf. v. 7). L’evidente sproporzione temporale tra amore e castigo illumina i termini che precedono.

Tutto questo è il presupposto del testo giovanneo proposto per questa festa (cf. 3,16-18), in cui Dio si rivela come colui che ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio non per condannare, ma per salvare, in piena coerenza con gli attributi di Es 34,6.

Non si menziona lo Spirito e la sua opera in questi versetti, ma è sufficiente andare all’inizio di Gv 3 per ritrovarne presenza e opera, ricostruendo così la dinamica trinitaria.

La Rivelazione è sopra e prima di tutto storia e narrazione: anche i discorsi sulla Trinità dovrebbero avere queste caratteristiche se vogliono mantenersi fedeli alla loro matrice biblica.

 

 

 

Immagine: Arcabas, Trinità