Il 22 maggio di 150 anni fa moriva lo scrittore Alessandro Manzoni.
In questo anniversario, per la festa liturgica di domenica offro come riflessione una sintetica parafrasi di uno dei testi più belli e famosi del poeta milanese La Pentecoste (1822), componimento che fa parte della raccolta degli Inni sacri.
Nel testo, quasi in prima battuta, il poeta si rivolge alla Chiesa ponendole una domanda: Dov’eri mai?
La Chiesa, madre di santi, che nei secoli ha sofferto, combattuto, subito persecuzioni; forza che si diffonde per il mondo, casa di coloro che sperano nella vittoria sulla morte… proprio tu che sei abituata al combattimento spirituale, dov’eri mai all’inizio della tua storia, un po’ codarda quando i discepoli non erano presenti mentre Cristo moriva sul Calvario? Dove ti nascondevi mentre stavi nascendo?
Interrogativi che esprimono lo sgomento del poeta davanti alle paure della prima chiesa, presenti non solo sotto la croce, ma anche quando Cristo risuscitava dalle tenebre e emetteva il potente respiro della nuova vita. Vivevi tutta raccolta tra le mura nascoste di una casa, tranquilla solo nell’essere dimenticata, fino al giorno di Pentecoste, quando lo Spirito Santo, deciso a rinnovare la vita sulla terra, discese sopra di te. Ora finalmente, Chiesa, vieni fuori perché la fiaccola della fede la Pentecoste in te accese. Lo Spirito ti collocò sul monte e ti aprì le labbra per parlare lingue sconosciute, ti rese capace di farti capire da tutti i popoli.
Poi il poeta immagina di essere presente ai primi tempi della predicazione apostolica e invita i pagani che pregano gli idoli a volgere lo sguardo a Gerusalemme da dove si irradia la nuova predicazione. Manzoni guarda le donne pagane gravide e dice ad esse – per il bene dei loro figli – di rivolgersi al Dio che porta la giustizia, l’assenza della distinzione di razza, di classe, di privilegi, che vuole la liberazione dalla schiavitù, poiché davanti a lui tutti sono fratelli e con uguale dignità. È giunta ora un’umanità, una comunità nuova rinnovata dallo Spirito, una nuova pace interiore frutto della vittoria per chi si decide in più nobili lotte. Una pace che il mondo può anche deridere, perché non ne comprende il valore, ma che non può strappare dal cuore in nessun modo.
Nella terza parte dell’Inno è una comunità ad invocare lo Spirito Santo: sia davanti agli altari parati a festa per la solenne ricorrenza che in luoghi selvaggi o errando per le vasti solitudini dei mari, in qualunque parte del mondo si trovino (dalle Ande al Libano, dall’Irlanda ad Haiti) i fedeli in coro dicono: discendi ancora Spirito buono che dai la pace, favorevole a chi ti conosce e propizio anche a chi non ti conosce; rianima il cuore dei dubbiosi e a coloro che si sono lasciati vincere da Te concediti come premio eterno.
Discendi come Amore divino, spegni l’ira dei superbi, ispira pensieri di bene; come il sole fa sbocciare il fiore e continua a sostenerlo perché non appassisca confuso tra le erbe basse, così la tua grazia scenda nell’animo di chi è stanco, fiaccato dal dolore; nell’infelice, scendi come un leggero soffio di gioia, come una ventata di consolazione.
Scendi invece come vento impetuoso e sconvolgente nell’animo del violento, gonfio di superbia, ispira in lui uno sgomento che lo induca a ravvedersi.
Grazie alla tua azione, il povero alzi gli occhi al cielo, cambia in gioia i suoi lamenti: del resto quel cielo gli appartiene di diritto perché il povero assomiglia a Cristo che sulla terra visse povero e sofferente come lui; aiuta il ricco ad essere sensibile verso i bisognosi, ma senza ostentazione, con quel silenzio rispettoso che rende gradito il dono.
La preghiera, in conclusione, si rivolge allo Spirito Santo, perché assista uomini e donne di ogni età: ai bambini concedi la gioia di vivere, quella gioia che si manifesta nel loro sorriso così difficile da descrivere per la sua bellezza; diffondi sulle guance delle fanciulle il rossore del pudore; concedi alle monache, chiuse nella pace dei chiostri, le gioie spirituali sconosciute al mondo; rendi sacro l’amore delle spose. Modera l’indolegiovanile che troppo confida in sé; dirigi i pensieri degli adulti verso mete buone e giuste; rendi bella la vecchiaia, ispirando desideri sereni e puri; «e brilla nel guardo errante / di chi sperando muor» (e risplendi nello sguardo fievole di chi muore fiducioso nella misericordia divina).