«Maestro, dove abiti?»

II domenica del Tempo ordinario

1 Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20; Gv 1,35-42

Ascoltate le parole del Battista, due suoi discepoli si mettono a seguire Gesù che voltandosi chiede loro: «Che cosa cercate?».

Le prime parole di Gesù nel quarto vangelo sono una domanda, la stessa che il Maestro rivolge ancora oggi a noi: «Che cosa cercate?», che può essere tradotto con «Che cosa vuoi da me? Perché t’interesso?».

E i due discepoli rispondono: «Maestro, dove abiti, dove dimori?».

Ecco: questa è la domanda giusta che il discepolo è chiamato a fare. Che corrisponde al chiedere: «Qual è il tuo segreto, la casa nella quale vivi?», che può essere ritradotta con: «Qual è il tuo Dio?».

A quella domanda Gesù risponde: infatti ha passato la vita a dire che suo Padre è una casa affidabile, è la roccia sulla quale fondare l’esistenza.

«Venite e vedrete»: se t’interessa sapere dove io abito, seguimi e vedrai la mia casa, cioè mio Padre, l’Abbà.

Nella nostra mentalità vorremo prima vedere e poi andare. Gesù offre un’altra prospettiva: deciditi per me, incomincia a seguirmi e poi man mano vedrai, capirai.

È da mettere in conto che la vita a volte sembra smentire l’affidabilità del Padre narrata e vissuta da Gesù: pensiamo al dolore, la fatica del vivere, la morte…

Poi quando Pietro e Giovanni il giorno della Pasqua arrivano al sepolcro vuoto «Videro e Credettero». Sono andati ed hanno veduto.

La risurrezione di Gesù diventa il momento fondamentale per comprendere che veramente il Padre è la casa sicura dove Gesù ha abitato per tutta la vita, anche quando la morte in croce sembrava la smentita dell’affidabilità dell’Abbà.

Allora, dopo aver visto e creduto, a distanza di anni dall’evento ricordi anche l’ora di quel primo incontro: «Erano circa le quattro del pomeriggio». Ti ha segnato così tanto la vita che hai tenuto bene a mente quando tutto era cominciato un lontano pomeriggio, all’ora decima, verso le quattro.

E chi si è fermato con Gesù, non può fare a meno di chiamare qualcun altro a condividere ciò che «ha trovato». E così la catena della testimonianza continua. Andrea incontra suo fratello, Simone, gli dice ciò che ha scoperto; tuttavia, non si sofferma a lungo a narrare tutto ciò che ha visto. Un lungo discorso non servirebbe. È meglio che Simone veda lui stesso Gesù ed ascolti quello che ha da dirgli.

All’inizio di ogni cammino di discepolato, di ogni vocazione, c’è sempre la testimonianza di qualcuno che ci aiuta a percepire la voce di Dio (normalmente non così facile da riconoscere) e a farci intravedere i tratti del suo volto. Così è stato anche per il giovane Samuele: la guida esperta e sicura dell’anziano Eli lo ha condotto all’incontro con Dio, aiutandolo a discernere la sua voce nell’oscurità della notte (cfr. la prima lettura 1 Sam 3,3-10). In questo senso, l’accoglienza della testimonianza di un altro bandisce ogni pretesa di scoprire da soli la via da percorrere.

All’inizio del brano evangelico c’è uno sguardo, così come nella conclusione. Prima Giovanni fissa lo sguardo su Gesù e poi Gesù guarda Pietro. La vicenda storica del Battista si conclude guardando il Maestro di Nazaret e indirizzando verso di lui i discepoli; il futuro nuovo e inatteso di Pietro incomincia con lo sguardo di Gesù che si posa su di lui.

E nella conclusione del vangelo di Giovanni sarà ancora lo sguardo di Gesù a dare un futuro nuovo e inatteso ad un Pietro deluso con un rinnovato invito: «Pasci le mie pecore e … seguimi» (Gv 21, 17.19). Una sequela necessaria per conoscere il volto del Maestro: per Pietro e gli altri apostoli, così come per ciascuno di noi rimane vero quello che la prima lettura dice del giovane Samuele «non aveva ancora conosciuto il Signore» (1 Sam 3, 7).

«Venite e vedrete»: strada facendo, seguendo l’Agnello di Dio si conoscerà il volto l’Abbà, cioè la casa, la dimora sulla quale il Maestro ha fondato la sua vita e vi ha abitato da sempre e per sempre. Ed è in quella casa che il Maestro chiede ai discepoli abitare.

Immagine: Giorgio De Chirico, L’enigma di un pomeriggio d’autunno, 1910