La carne di Gesù è tempio della gloria di Dio

III domenica di Quaresima

Es 20, 1-1; Sal 18; 1 Cor 1, 22-25, Gv 2, 13 -25

 

C’è ancora bisogno di un tempio per adorare Dio?

Probabilmente molti oggi risponderebbero di no alla domanda, traendo forza anche dalla scena della cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù, così come da quell’altro passo evangelico dove Gesù interrogato dalla samaritana risponde che «i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23).

Ma non mancano quelli che invece riconoscono la necessità del tempio per l’adorazione di Dio celebrando l’Eucaristia, i sacramenti e la liturgia tutta e così mantenere viva la memoria di Gesù e del suo vangelo e perché la Chiesa sia intesa come comunità visibile, «tempio del corpo di Cristo».

Del resto lo stesso Gesù che invita a distruggere quel tempio di pietra che è in Gerusalemme – o quello di carne che è il suo corpo – promette anche un tempio nuovo, e non la pura e semplice abolizione del tempio.

Il tempio di Gerusalemme era un segno, l’espressione di una speranza, di una promessa di Dio: «Io sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo».

Ma nello stesso tempo era diventato un apparato di cerimonie compiute da una categoria sociale specializzata (leviti e sacerdoti), una macchina che dava lavoro a mercanti di colombe, pecore e buoi, e ai cambiavalute (cioè coloro che scambiavano la moneta romana usata per i traffici pagani con la moneta coniata dal Sinedrio, necessaria per pagare il tributo del tempio). Quando il tempio diventa apparato, facilmente porta ad un culto inteso come commercio.

Non va dimenticato però che al tempio si poteva trovare anche gente come quella vedova che, di nascosto e quasi vergognandosi, getta nel tesoro tutto quello che ha per vivere (Lc 21, 1-14). Ebbene, il tempio appartiene molto più alla vedova che ai sommi sacerdoti e ai mercanti, anche se quest’ultimi apparentemente ne sono i padroni. Si nota un paradosso: i veri adoratori del tempio vi entrano come di nascosto e ne sono cacciati come intrusi. Proprio come Gesù che solo può stare per diritto nel tempio, lui che nel tempio era stato atteso e accolto dal vecchio Simeone, ora può entrare nel tempio solo con la violenza e quasi come un nemico.

Il gesto violento di Gesù aiuta i discepoli a comprendere ciò che il salmo aveva previsto: «Per te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia; sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre. Poiché mi divora lo zelo per la tua casa,ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta» (Sal 69, 8-10).

Il trasformare il tempio in un apparato, che può funzionare senza bisogno di Dio e senza attendere che il suo Spirito riempia gesti che altrimenti non avrebbero alcun senso, questo è l’insulto di cui parla il salmo.

Gesù sente nelle viscere l’insulto a Dio fatto da un tempio divenuto luogo di mercato e quel gesto clamoroso di giudizio prepara la sua condanna.

Condanna che Gesù non teme: «Come puoi tu osare tanto? Che segno ci mostri?», con quale potere ai questo?

E il potere che Gesù rivendica è quello di far risorgere un tempio nuovo: «Distruggete questo tempio di pietra diventato inutile perché non ha saputo riconoscere e accogliere il figlio di Dio venuto nella debolezza della carne. Distruggete pure anche questo tempio di carne che è il mio corpo. E in tre giorni io farò risorgere un tempio nuovo».

Parlava certo del suo Corpo risorto, ma anche di tutti coloro che nel suo corpo risorto avrebbero trovato una via nuova di accesso alla presenza di Dio.

Il Gesù Cristo, tempio non costruito da mani d’uomo, ognuno può incontrare il vero volto di Dio e può invocarlo come Padre.

 

 

Immagine: Giorgio Morandi, Metaphysical Still Life (1918)