«Il Signore agiva insieme con loro»

Ascensione del Signore

At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20

 

Nel passo evangelico proposto in questa festa, ritorna, alla fine un tema caratteristico del vangelo secondo Marco, che attraversa tutto il libro da cima a fondo: l’incredulità dei discepoli.

Ma nello stesso tempo emerge, per contrasto, tutta l’ostinata fedeltà del Signore che continua ad affidare la sua missione a dei discepoli rivelatosi non sempre del tutto affidabili. Il vangelo è messo così in fragili mani di uomini increduli e titubanti affinché giunga fino agli estremi confini del mondo.

E destinataria della missione evangelizzatrice non è solamente l’umanità, ma «tutta la creazione» (v. 15). Tutto l’universo creato è coinvolto in quel dinamismo di salvezza scaturito dalla Pasqua di Gesù e chiamato a ricevere la Buona Novella che rinnova e trasfigura ogni cosa. Del resto, san Paolo scriverà che anche la creazione attende con impazienza la sua liberazione e redenzione (Rm 8, 19).

«Chi crederà… chi non crederà»: tutto si gioca tra fede e incredulità, accoglienza e rifiuto del vangelo, e quello rimane l’unico oggetto della predicazione degli apostoli. All’inizio del suo ministero Gesù invitava alla conversione e alla fede dinanzi all’avvento del Regno (Mc 1, 15), ora, da Risorto, ripete l’invito perché il dono del vangelo non vada sprecato.

«Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono nel mio nome: scacceranno…, parleranno…, imporranno le mani e guariranno».

La fede è la porta per manifestare la potenza liberatrice della Pasqua di Gesù nella vita di ciascuno, chiamata a confrontarsi con il peso del male nelle sue molteplici forme (fisico, psichico o spirituale) e con la fragilità legata alla fatica del non intendersi, capirsi per diversità di pensiero e di comprensione della realtà.

Il coraggio di «prendere in mano i serpenti» o di non dubitare «se berremo qualche veleno»viene a tutti i discepoli dalla coscienza che il Signore non si è allontanato anche se non èpiù visibile con gli occhi della carne. Gli occhi della fede, infatti, hanno una vista piùlontana: essi possono anticipare quello che ancora non c’è da un punto di vista solo umano e materiale, ma che esiste e si sta preparando, poiché Gesù ha vinto il male, il peccato e la morte.

Gli occhi della fede possono anche anticipare dei comportamenti «buoni» che sembrano assurdi per gli occhi della carne, ma che marcano la differenza cristiana. «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto: con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito», si legge nella seconda lettura.

Come avere fiducia quando alcune cose della nostra vita non vanno bene come vorremmo? Come essere umili e docili quando non ci si sente rispettati e compresi? Come perdonare, sperare quando scopriamo in noi – nel nostro cuore, ma anche in famiglia, in comunità – del veleno di cui non eravamo a conoscenza?

Nella fede è possibile accettare che la potenza della risurrezione non sia una finzione nella nostra vita, ma che è all’opera nella storia.

Prendendo coscienza del male e dell’esperienza del limite che ci accompagna nella vita, anche noi possiamo fissare lo sguardo su Gesù, in alto, poiché Lui è autore e perfezionatore della fede; e poi, fissarlo in basso, nella carne della nostra vita, dove con coraggio e con l’aiuto dello Spirito Santo crediamo, viviamo, speriamo.

«… e il Signore agiva insieme con loro»: è il dono di una presenza operante, ma insieme misteriosa, nella vita dei discepoli, impegnati, nella carne delle loro vite e della storia, a divenire segno della permanente speranza offerta dalla risurrezione.