Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

Il giusto silenzioso

IV Domenica di Avvento (Anno A)

Nino Manfredi, Geppetto, in Le avventure di Pinocchio (1972)

Non proviamo a cercare una sola parola di Giuseppe in tutto l’arco dei Vangeli perché non troveremo nemmeno una sillaba. Giuseppe fa silenzio e su Giuseppe scende il silenzio.

Però, senza parlare, quell’uomo comunica. E comunica anzitutto cura e così infonde sicurezza, senza nulla dire, semplicemente con la sua presenza.

Applicando a lui le parole di San Paolo, Giuseppe è l’amato da Dio e il santo per chiamata (cfr. Rm 1,7), nella fecondità del silenzio e nell’immaginazione dei sogni, nelle decisioni ponderete e nella prontezza dei gesti.

C’è la vocazione alla maternità verginale di Maria, quella alla profezia di Giovanni, ora la chiamata all’ascolto silenzioso e all’azione sapiente dello sposo di Maria e del padre terreno di Gesù.

Tace e pensa Giuseppe, ancor prima di sognare e agire, perché «era giusto» (Mt 1,19) ossia uomo dalla vita perfettamente conforme ai comandamenti e ai precetti del Signore.

Ma la giustizia di Giuseppe supera quella minimalista di scribi e farisei secondo il rimprovero di Gesù (cfr. Mt 15, 1-9): è giustizia che supera il dettato della norma pur osservandola; è giustizia che s’invera nella misericordia; è giustizia che non si chiude ma accoglie la volontà di Dio espressa in sogni; è giustizia che consente insieme di obbedire alla Legge e di salvare l’uomo.

Giuseppe è giusto perché valuta (v. 19) e considera (v. 20): non ha già preso una decisione ma cerca di mettere insieme i pensieri.

Ed è proprio dentro questa saggia esitazione che l’angelo gli apparve in sogno, come una conferma della bontà della sua paziente attesa.

Nella vocazione di Giuseppe a custodire si può cogliere l’appello per la Chiesa oggi a tradurre i silenzi in ascolto, i pensieri in decisioni, i sogni in realtà.

È tempo di passaggi: dai ripudi sofferti e nascosti alle accoglienze manifeste e gioiose. È tempo di giustizia, di osservanza fedele e creativa dell’unico comandamento dell’amore reciproco che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli e che Giuseppe, servo divenuto amico, realizza per la conoscenza di ciò che Dio dona ai suoi amici in sogno (cfr. Sal 126): «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). 

 

 

 

 

Immagine: Nino Manfredi, Geppetto, in Le avventure di Pinocchio (1972)