Il compimento di un’attesa

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

Gen 15, 1-6; 21, 1-3; Sal 104; Eb 11, 8.11-12.17-19; Lc 2, 22-40

 

L’incarnazione del Figlio di Dio significa che Gesù non soltanto ha assunto la nostra carne umana, ma anche l’appartenenza a una famiglia e a un popolo, con consuetudini e un patrimonio di leggi, insegnamenti e prescrizioni da rispettare.

Maria e Giuseppe fanno tutto secondo la Legge di Mosè, come più volte ricorda l’evangelista Luca.

Gesù nasce in un contesto, riceve un patrimonio, porta con sé tutte le impronte di chi lo ha preceduto.  Come scrive lo psicanalista Massimo Recalcati, tra i saggisti più noti in Italia oggi: «Essere figli significa avere il compito di ereditare, di fare nostro ciò che l’altro, nel bene e nel male, ci ha dato. Significa riconquistare, fare davvero nostro, quello che abbiamo ricevuto».

Quale funzione ha l’episodio della presentazione di Gesù al tempio?

Come già detto all’inizio, il sottolineare che Gesù è figlio di quella terra e di quel popolo, con le sue tradizioni; è un erede che nella sua vita non rinnega, ma «riprende» in modo singolare quello che ha ricevuto.

Alla samaritana incontrata al pozzo di Sicar, Gesù dice che «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Non ci sarà più bisogno di adorare Dio in un luogo, in un tempio. Gesù, che da bambino viene presentato al tempio, da grande preannuncia la fine di quell’economia.

È infedeltà alla tradizione, all’eredità ricevuta?

No, perché ogni figlio è un erede (ha il compito di accogliere quello che gli è stato trasmesso da chi lo ha preceduto), ma nello stesso tempo è anche, sempre, un ereticoperché riprende a suo modo il passato conferendogli un senso nuovo.

È quello che anche ciascuno di noi nel suo piccolo deve fare nei confronti dell’eredità ricevuta: una re-interpretazione, una rilettura per il mondo in cui vive. Questa è la dinamica della fedeltà alla tradizione.

La liturgia della Parola ci mostra la fede di Abramo.

Nel brano di Genesi, Abramo accetta non solo di camminare verso una terra, ma verso un incontro personale con il Signore. Entra nella relazione misteriosa con Qualcuno che lo chiama, gli parla, lo guida fino a dirgli di non avere altra garanzia che il rapporto con Lui. Abramo crede lasciandosi condurre fuori, nella notte, solo così potrà fare l’esperienza sorprendente di un cielo stellato che illumina in modo debole le tenebre e permette un orientamento anche nel buio dell’incertezza. Tuttavia Abramo non può contare le stelle: dovrà fidarsi del segno senza poterlo dominare.

E la Lettera agli Ebrei ci riporta fin dove giunge questa fede di Abramo.

Quando non trattiene come sua proprietà il figlio Isacco, davvero Abramo accoglie il figlio come dono, come simbolo dell’alleanza fedele e della promessa di Dio che lo vuole rendere non solo padre di Isacco, ma di una moltitudine incalcolabile di credenti. Abramo è ora padre nella fede e dalla sua discendenza nascerà Gesù, in cui tutte le promesse si compiono e viene stipulata l’alleanza definitiva.

Maria e Giuseppe, offrendo il loro «maschio primogenito» non solo obbediscono alla Legge, ma accolgono la stessa logica di Abramo, quella della fede.

E nello stesso tempo consegnano quel figlio a tutti gli uomini che attendono la salvezza. Gesù è definito da Luca come «La consolazione di Israele», «la redenzione di Gerusalemme».

E anche il vecchio Simeone e la profetessa Anna sono lì a rappresentare questa umanità che attende consolazione, salvezza e sa riconoscere il questo neonato il compimento di questa attesa.

Nella vita di questi due anziani nulla è stato così bello da riempirla completamente da impedire loro di attendere e nulla è stato così brutto, così doloroso da impedire di continuare a sperare. Hanno vissuto non accontentandosi di niente di meno del Signore e della sua consolazione.

Per entrambi vivere significa vedere la salvezza del Signore. Non attendere la salvezza equivale a morire. Mentre vedere la salvezza conduce alla pace.

Credere vuol dire anche questo: sapere che nonostante tutte le difficoltà, tra queste anche perdere un marito appena ci si è affacciati all’amore, come è accaduto ad Anna, la vita è fatta per essere salvata. È fatta per vedere Dio.

Allora, alla luce della parola di Dio offerta in questa domenica, due tratti vengono offerti perché in una famiglia (tutti, genitori e figli) si possa crescere in sapienza e grazia: la fede che nutre l’attesa, e la docilità allo Spirito che permette di riconoscere nell’esistenza i segni della salvezza.

 

 

Immagine: Giovanni Bellini, Presentazione al Tempio, (circa 1460).