Ecco l’Agnello

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Is 49, 3.5-6; Sal 39; 1 Cor 1, 1-3; Gv 1, 29-34

Giovanni il Battista era la voce che gridava nel deserto, che disponeva all’attesa. Ora che il silenzio del mondo è pieno della Parola fatta carne, la voce del Battista risuona ancora.

La sua testimonianza da una parte è rivolta all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, e poi è rivolta al Figlio di Dio. E per l’una come per l’altra testimonianza, Giovanni il Battista ricorda che «Io non lo conoscevo». Ma nello stesso tempo non nasconde la speranza: «Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele».

Non lo conosceva, ma perché il Maestro potesse farsi conoscere era necessario suscitare un’attesa. Ora il Battista vede scendere lo Spirito come colomba dal cielo e posarsi sull’eletto di Dio.

L’immagine della colomba evoca il desiderio e la premura della colomba quando scendendo dal cielo si affretta a trovare quiete nel nido. Dopo l’agitarsi del volo, ora la colomba è tranquilla nel rifugio. Lo Spirito non solo è visto discendere, ma rimanere su Gesù Cristo in modo duraturo. La stabilità nella Bibbia è attribuita soltanto a Dio: la sua parola «rimane in eterno» (1 Pt 1,25).

L’immagine della colomba porta dentro di sé anche un altro riferimento: quello di Spirito di Dio che aleggiava sulle acque al principio, quando «la terra era informe e deserta» (Gen 1, 2).

Ora lo Spirito riposa sulla Parola fatta carne.

Altrettanto significativa l’immagine dell’agnello.

Probabilmente il precursore sapeva che i suoi ascoltatori, sentendolo accennare a quell’immagine, avrebbero intuito l’allusione all’agnello pasquale il cui sangue, posto sugli stipiti delle case, in Egitto aveva risparmiato i loro padri dall’eccidio dell’angelo sterminatore; egli ha intravisto il destino di Gesù: un giorno sarebbe stato immolato, come agnello, e il suo sangue avrebbe tolto alle forze del male la capacità di nuocere. Alcuni biblisti fanno notare che Gesù è stato condannato a mezzogiorno della vigilia di pasqua (Gv 19,14): era infatti quella l’ora in cui, nel tempio, i sacerdoti cominciavano a immolare gli agnelli.

C’è una seconda allusione nelle parole del Battista: «Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori… è stato annoverato fra gli empi, mentre invece portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori». (Is 53,7.12).

In questo testo, l’immagine dell’agnello è collegata alla distruzione del peccato. Gesù, l’Agnello, si farà carico di tutte le debolezze, le miserie, le iniquità degli uomini e con il dono della sua vita, le annienterà. Non eliminerà il male; lo vincerà introducendo nel mondo una forza – il suo Spirito – che porterà gli uomini al bene e alla vita.

Su Gesù lo Spirito trova riposo in modo stabile.

Così, la sua obbedienza di Servo, di Agnello, è arricchita e completata dalla creatività dello Spirito e dai suoi multiformi doni. Obbedienza e creatività sono elementi inscindibili della missione di Gesù ma anche della vita cristiana.

 

 

 

Immagine: Agnus Dei – Scultore anonimo – Prima metà del XII secolo – Altorilievo in arenaria, Musei di Palazzo Farnese Piacenza