Definirsi per sottrazione

III Domenica di Avvento

Is 61,1-2.10-11; Lc 1,46-54; 1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

Giovanni indica Gesù, lo battezza, e poi scompare dalla scena.

Sa discernere che Gesù è il più forte, perciò si mostra sempre decentrato, teso a indicare colui al quale devono andare gli sguardi di tutti.

Le autorità di Gerusalemme erano preoccupate di questo strano predicatore, Giovanni, e gli chiedono che idea si è fatto di sé steso. E Giovanni dice anzitutto ciò che non è: non è il Messia, non è Elia, e non si stima nemmeno come profeta. Semplicemente dice di essere la Voce. La Parola è Gesù.

«Io, Giovanni, sono voce di uno che grida nel deserto». In questo atteggiamento c’è la vera grandezza di Giovanni che non chiede di guardare alla sua persona. Come dirà più tardi: «Gesù deve crescere; io, invece, diminuire».

«Cosa dici di te stesso?».

Le risposte di Giovanni sono sapienti, straordinarie. Per dire chi siamo, per definirci, noi siamo portati ad aggiungere, ad elencare informazioni, titoli di studio, notizie, realizzazioni nella vita, incarichi.

Giovanni il Battista fa esattamente l’opposto, si definisce per sottrazione, e per tre volte risponde: «Io non sono il Cristo, non sono Elia, non sono… ».

Giovanni capisce chi è per sottrazione: io sono solo voce, la Parola è un Altro.

Tutti i giorni, ognuno di noi, in qualche modo è raggiunto dalla domanda: «Tu, chi sei? ». Lo sguardo degli altri ci invita a riconoscere la nostra identità.

In questo, è sempre molto forte la tentazione di mostrare i nostri profili migliori, anziché raccontare la complessità e le contraddizioni che ci abitano.

La risposta consiste nello sfrondare da apparenze e illusioni, da maschere e paure la nostra identità. Meno è di più.

È sempre più facile sorridere e dissimulare piuttosto che ammettere di far parte di quel popolo che il profeta Isaia definisce composto da «miseri, schiavi, prigionieri» che ogni giorno devono convivere con i loro «cuori spezzati».

Eppure, questa è domenica della gioia, e il «gioire pienamente nel Signore» non dipende dalla quantità di luce che crediamo – o mostriamo – di avere, ma dal credere che le tenebre siano rischiarate dalla fedeltà di Dio.

La testimonianza di Giovanni Battista, dalla parola asciutta e sincera, ci ricorda che per accedere alla gioia del Natale non dobbiamo fare altro che guardare in modo autentico la vita per quello che ci consente di fare e di essere, senza indulgere in aspettative e illusioni con cui facilmente cerchiamo di evadere dalla realtà. Il Signore viene non per ciò che meritiamo, ma per ciò di cui abbiamo bisogno.

Giovanni il battista è dunque il testimone.

A volte per il ruolo che occupi, per il lavoro che nella vita svolgi può succedere di trovarti sul palcoscenico, con gli occhi puntati addosso. A questa situazione ci si può affezionare anche un po’ e diventa difficile mettersi da parte, distogliere l’attenzione dalla propria persona che può aver raggiunto una certa fama.

Giovanni Battista è un testimone che attira l’attenzione su Gesù Cristo.

Ogni battezzato è un testimone quando cerca di incoraggiare le persone che incontra a mettersi in relazione con il Signore.

È faticoso accettare una testimonianza che richiede di mettersi da parte, silenziosi, deboli, di saper avere una certa distanza che custodisce dall’attesa delle folle, spesso fuorvianti.

Ai discepoli è chiesta la responsabilità di annunciare il vangelo, e da Giovanni il Battista dobbiamo imparare anche il come annunciarlo: con forza, ma anche nell’umiltà perché al centro resti Cristo e non noi.

 

 

Immaagine: Edward Hopper, Rooms by the Sea.