«Credi che io sono la risurrezione e la vita?»

V domenica di Quaresima (Anno A)

Ez 37,12-14; Sal 129 (130); Rm 8,8-11; Gv 11,1-45


«Signore, colui che tu ami è malato» (v.3).

Basta questo, senza dire ne il nome di chi soffre, nemmeno altre notizie sulle precarie condizioni. Chi deve sapere sa.

E Gesù sapeva.

Le due sorelle di Betania si rivolgono a Gesù così, in modo essenziale, asciutto e con una punta di dispiacere. Tu lo ami e lui è malato.

«Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (v.5).

Ma allora, perché il Maestro come suo solito non parte, si incammina, va per raggiungere in fretta l’amico malato?

«Quando sentì che era ammalato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava» (v.6). Nonostante l’affetto che nutriva per Lazzaro e le due sorelle, Gesù non ha fretta di recarsi a Betania.

Perché questo ritardo, perché lasciare che per Lazzaro giunga il tempo del morire?

Le domande che il vangelo mette sulla bocca di Marta e Maria e poi sulle labbra di alcuni giudei presenti alla scena, sono le medesime che esprimiamo noi quando ci troviamo davanti alla morte di una persona cara.

Ad una lettura superficiale si è colpiti da una contraddizione presente in Gesù: commozione e turbamento fino alle lacrime, ma prima la manifestazione quasi serena («sono contento», dice il Maestro) nel non essere stato presente al momento della morte dell’amico.

In questa narrazione siamo presi da sentimenti e reazioni contrapposte: perplessità e stupore, turbamento e commozione, paura e rincrescimento, incomprensione e gioia.

Quest’episodio evangelico offre un esito duplice e contraddittorio: nella morte di Lazzaro è svelata la gloria di Dio e nella resurrezione dell’amico viene segnata la condanna a morte di Gesù (vv.45-54).

Può essere questo il motivo del ritardo di Gesù?

Probabilmente sì. La malattia dell’amico non è per la morte, ma anche quella fa parte del legame tra Dio e l’uomo e la sofferenza e la morte, per cui è giusto provare dolore e paura, non sono il segno dell’abbandono di Dio.

Il quarto giorno è quello del cattivo odore a causa della decomposizione: Gesù attende quel giorno perché la possibilità di Dio entrasse nell’impossibilità dell’uomo.

«Credi questo?», domanda Gesù a Marta: ancora una volta fa la sua comparsa la richiesta della fede, come per la samaritana al pozzo e per il cieco nato.

Possiamo immaginare che questa sia la stessa fede che Gesù chiede a se stesso quando, sulla croce, ode l’assordante silenzio e l’assenza di ogni intervento da parte del Padre. Ma nello stesso tempo può anche lasciarsi andare con fiducia: «Padre, ti rendo grazie, perché mi hai ascoltato» (v. 41).

Il passaggio che Gesù chiede a Marta e a noi è quello di passare dal credere alla risurrezione dell’ultimo giorno al credere che proprio Gesù sia la Risurrezione e la Vita. L’adagio di Ezechiele letto nella prima lettura può così essere riscritto: “Riconoscerete che Io Sono la Resurrezione, quando il Padre aprirà la mia tomba e uscirò dal mio sepolcro, o popolo mio”.

La Vita non può restare avvolta in bende e sudari di morte. Il Padre esaudisce sempre, anche quando sembra allontanarsi, ritardare, tacere e non agire. Così è stato per Lazzaro, così è stato per Gesù. Così è e sarà anche per noi.