Chi perde la propria vita, la trova

XXII domenica del tempo ordinario

Ger 20,7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27
«La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno»: questa è l’amara constatazione del profeta Geremia.
Esperienza che prima o poi trova conferma nell’esperienza di ogni credente. Geremia si pente, per un attimo, di aver creduto nelle promesse di Dio e del compito ch’egli ha assegnato alla sua vita. Addirittura, egli accusa Dio di averlo ingannato: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso». Un rimprovero verso Dio, quello del profeta, perché ha approfittato della sua ingenuità, della sua propensione ad illudersi, del suo bisogno di sperare e amare. E Geremia arriva a questa decisione: ora basta, non cadrò più nell’errore della mia giovinezza. «Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!».
Ma dopo una tale rinuncia, che cosa rimane? A chi pensare, in nome di chi parlare, se non nel nome di Dio?
Nonostante il pensiero bruciante del disinganno, Geremia capisce che non c’è altra via se non quella di continuare a fidarsi di Dio: «Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo». Al di là di questo momento di amarezza e di ribellione, e di altri momenti simili a questo, Geremia rimarrà profeta di Dio.
Lo scetticismo, il vivere senza alcun amore per evitare ferite e dolori troppo laceranti, la paura di essersi illusi o essere stati ingannati, sono tentazioni serie per la vita umana. Il trattenersi dal scegliere sembra la strada da percorrere, il modo per essere sempre pronti ad ogni adattamento opportunistico.
E davanti alla scelta di Gesù di andare a Gerusalemme e quindi di esporsi allo scherno e alla morte, Pietro suggerisce al Maestro di non fare quella scelta.
Dura la risposta di Gesù «Va’ dietro a me, Satana».
Chissà, nel discorso che stiamo portando avanti, possiamo leggere la risposta di Gesù come un mettere in guardia Pietro dal pericolo di fuggire il tempo della scelta, di allontanarsi da quel momento difficile dove la sequela della Parola di Dio ci porterà ad una certa solitudine, forse allo scherno e alla derisione degli altri.
Gesù sa che la fuga che Pietro gli propone, sarebbe una fuga che non avrebbe fine: non solo la fuga da Gerusalemme e dalla sua ostilità, ma fuga lontano da Dio e dalla sua volontà non sempre così comprensibile.
Gesù sa che la vita è salvata solo se l’uomo è disposto a perderla, cioè a consegnarla nelle mani di quel Dio che sempre va da capo ricompreso. Pensiero – quello del perdere, consegnare per trovare – che è ribadito da san Paolo nella lettera ai Romani: «Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto».