Chi è questo padrone?

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 128 (127); 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

Questa parabola, alla quale facciamo riferimento abbastanza spesso e con una certa tranquillità (quando, ad esempio, riconosciamo a una persona un certo talento), in realtà non è così semplice da capire e da tradurre nella nostra vita.

Provo a dare una lettura, una fra le molte.

Questa parabola in qualche modo richiama quella delle dieci vergini che attendono lo sposo. Il tema è lo stesso, la vigilanza, perché qualcuno deve arrivare, ma non si sa quando. Là uno sposo, qui un uomo, che poi diventa un signore, poi un padrone. Là lo sposo che dice alle vergini stolte «non vi conosco», qui il lettore che può dire «non conosco chi è questo uomo, questo padrone, questo signore».

Nel cammino verso Gerusalemme, dall’inizio alla fine, Gesù educa i discepoli alla comprensione del volto di Dio, un Dio così prossimo che nella preghiera viene invocato come Abbà. E il Vangelo non nasconde la fatica che i discepoli (e non solo loro) fanno ad accogliere questa narrazione di Gesù.

Allora, la parabola dei talenti più che sottolineare il «come e quando» questo signore verrà, pone l’accento sul «chi viene».

Questo uomo che è partito per un viaggio, chi è?

Perché se non sai «chi viene», rischi di cadere in fraintendimenti. Infatti, potresti trovare scuse per dire di no sei vieni invitato al banchetto, o potresti non sapere il perché hai indossato il vestito adatto alla festa e potresti anche avere la puzza sotto il naso se ti troverai come compagni di tavola prostitute e peccatori.

Quindi, la domanda «quale volto ha colui che viene», è fondamentale.

Da subito stupisce che dei tre servitori venga trattato così male colui che ha fatto la scelta più sicura per restituire il più integro possibile il bene prezioso che aveva ricevuto.  Il signore della parabola così severo, assomiglia all’Abbà?

Direi di no. Come si fa a mettere insieme questa parabola con quella dove il padrone «buono» paga gli operai dell’ultima ora con la stessa paga di quelli della prima ora? Come accostare questa parabola con quella che racconta di un padre che attende fiducioso il figlio che ha sperperato ben più di un talento?

A meno che si veda in Gesù una certa ambiguità: prima presenta un Dio che ha il volto del Padre e poi quello di un padrone duro che raccoglie dove non ha seminato e bastona chi non è riuscito a far rendere il dono che aveva ricevuto.

La parabola dei denari affidati, sembra allora un avvertimento di Gesù: «Esci dal tuo modo di immaginare Dio, non cadere nella tentazione di associarlo ad un Padrone. Io ti ho fatto conoscere un altro volto».

Del resto le parabole che leggiamo in queste domeniche non sono la prima cosa che Gesù narra. Le racconta solo da un certo momento in poi, quasi come se fosse costretto a raccontarle per la testardaggine dell’uomo.

L’esito al quale arrivare, credo, è che questo padrone con Dio non c’entra niente.

Ma il complotto per far fuori Gesù, non è segno che la sua narrazione di Dio dà fastidio? Non è che quell’Abbà che si prende cura dei peccatori anche più dei presunti perfetti se necessario, sembra agli occhi dei benpensanti non così giusto?

Quale volto ha quel Signore che incontro? Chi è colui che viene?

Quando resisti al Vangelo e ti costruisci un Dio tuo, guarda dove vai a finire. Se Dio lo pensi così, le conseguenze le paghi tu. Se di Lui hai quell’immagine, vivrai di conseguenza.

Dopo queste narrazioni, inizierà la Passione (Mt 26). Queste parabole sembrano l’ultima provocazione di Gesù per rivelare il volto di Dio che lui conosce.

Se lo comprenderai nel modo giusto, allora riuscirai a giocare i tuoi talenti non per interesse ma perché sei entrato nella logica del dono: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Imparerai a rischiare, forse anche con l’eventualità di perdere ciò che hai investito, senza paura di sbagliare.

Un buon servo ha fiducia nella comprensione del suo padrone, almeno nella misura in cui il padrone si fida di lui. Se questi, il padrone, va lontano e affida i suoi beni ad altri, si aspetta dai servi un’audacia simile alla sua. Quell’uomo/signore/padrone ci considera persone responsabili tanto da offrirci la possibilità di spaziare nella gestione dei talenti con una certa libertà. E alla fine non giudica con misura, ma in sovrabbondanza («Sei stato fedele nel poco, ti darò… molto»).

Come dà molto quel Signore invitandoci a rischiare, a giocare ciò che abbiamo ricevuto, anche noi come e con Lui possiamo essere larghi, di mente e di cuore. E così prenderemo parte alla gioia di quel padrone.

 

 

 

Immagine: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1652), La parabola dei talenti