«Persero un giorno la stella…»

Epifania del Signore

Is 60, 1-6; Sal 71; Ef 3, 2-3. 5-6; Mt 2, 1-12

 

«Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare una stella», domandano i Magi arrivati a Gerusalemme?

Domanda dei Magi che rivela come essi hanno guardato in alto, nel cielo.

Ma a Natale il vangelo di Luca ci raccontava di un bambino adagiato nella mangiatoia. E, quindi, l’invito è a guardare in basso.

Il poeta e scrittore francese Edmond Rostand – nella poesia La stella –  descrive l’avventura dei Magi immaginando che essi durante il viaggio perdettero la stella perché l’avevano fissata troppo a lungo.

La stella era importante per quegli uomini, perché avevano sete di una guida.

Allora il Magio di colore disse tra sé: «Pensiamo alla sete che non è la nostra. Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali». E mentre reggeva il suo secchio, nello spicchio di cielo in cui bevevano i cammelli egli vide la stella d’oro che danzava in silenzio.

Una poesia che dice i due aspetti presentati dal vangelo: guardare in alto, guardare in basso.

La stella, a volte, la si perde perché ci si distrae dalla terra, perché si è guardato troppo il cielo, per aver ascoltato soltanto la propria sete, dimenticando di pensare a quella degli altri.

Il teologo D. Bonhoffer diceva che «i cristiani che vivono con un piede solo su questa terra, vivranno con un piede solo anche in cielo».

Se la stella ha solo la consistenza di ciò che si ha in testa, svanisce come un’idea.

Se invece rende il tuo cuore attento anche al bisogno dei tuoi cammelli – allarghiamo l’immagine: di chi ti vive accanto -, la ritrovi più luminosa di prima.

A condizione, però, che mentre badi ai tuoi cammelli, non ti dimentichi di alzare gli occhi verso il cielo.

Anche perché il vangelo parla di una stella strana, diversa da tutte le altre.

Sorge in cielo nel momento stesso in cui il Figlio di Dio nasce sulla terra. Sorge in cielo quando dall’alto dei cieli il Figlio dell’altissimo viene ad abitare in uno dei punti più umili della terra, nel più piccolo dei capoluoghi di Giuda.

E quella stella non ti conduce nel palazzo regale della capitale, ma nemmeno nel tempio di Gerusalemme, tra i dottori, gli esperti della Legge.

Ti conduce a Betlemme, in una mangiatoia.

E trovandolo gli darai i doni – oro, incenso e mirra – perché – stando alla poesia di prima – hai dato da bere anche ai tuoi animali.

Cioè, ti metti in adorazione di Colui che è venuto non per essere servito, ma per stare in mezzo a noi come colui che serve, come colui che non è stato attento solo alla sua sete, ma si è preso cura della sete di chi gli stava accanto.

La lettura del brano di Matteo ci dice che l’unica luce che guida i Magi, risplende in tre modi diversi.

C’è la luce della stella, che i magi scorgono nel suo nascere; poi la luce delle Scritture, a Gerusalemme; infine la luce del sogno, perché è nel sogno che i Magi vengono avvertiti di non tornare da Erode, ma di raggiungere il loro paese per un’altra via.

Possiamo dire: Stella, la creazione; la Scrittura, la Parola di Dio; il sogno, la coscienza personale.

Queste tre luci sono ancora oggi i modi con cui Dio ci interpella, guida il nostro cammino, illumina la nostra ricerca della verità e della vita.

Chiediamo che il Signore ci aiuti nel nostro cammino di discepoli a saper tenere insieme il cielo e la terra in un unico sguardo; di ascoltare sia la nostra sete sia la sete non nostra; ci permetta di camminare con altri che cercano anch’essi sentieri di verità, rendendoci loro compagni di strada, senza smarrire la meta o distrarre da altri traguardi.

 

 

Immagine: Piero Casentini, I Magi