Un amore liberato

XXX Domenica del Tempo Ordinario

Es 22,20-26; Sal 18 (17); 1Ts 1,5-10; Mt 22,34-40

 

Nel vangelo proposto per questa domenica, Gesù parla dell’amore. E ne parla in un momento di fatica, poiché è messo alla prova dai farisei con domande subdole.

Qual è il grande comandamento?

La questione era dibattuta nell’ebraismo farisaico. C’erano due orientamenti: uno che ammetteva la possibilità di una gerarchia dei precetti, distinguendolo tra gravi e leggeri; l’altro, invece, che cercava di riassumere tutto il contenuto della Torah in un unico principio.

L’originalità della proposta di Gesù sta nel mettere insieme il primo e il secondo precetto, nell’associare in modo stretto il comandamento dell’amore nelle sue due direzioni, verso Dio e verso il prossimo. È nell’amore del prossimo che l’amore per Dio trova la sua concretezza e la sua verità.

E questo non piace, ieri come oggi.

Con Dio possiamo avere anche un atteggiamento di facciata, formalistico, nei confronti del prossimo, invece, l’amore può uscire da ogni equivoco e ambiguità, e sviluppare infinite modalità, insospettabili doni. L’amore tra gli uomini è una palestra in cui possiamo sperimentare tutte le straordinarie gamme di cui si compone, è sempre un’opera d’arte che richiede una sperimentata umanità.

Nei suoi diari Etty Hillesum legge 1Cor 13: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi l’amore…» e commenta: «Leggendo, ho sentito come se, come se cosa? Queste parole lavoravano su di me come una bacchetta da rabdomante, che toccava la terra indurita del mio cuore e faceva sgorgare delle fonti nascoste. Improvvisamente sono caduta in ginocchio accanto al tavolino bianco e l’amore, liberato, si è messo a scorrere in me; in un istante liberata dall’invidia, dalle gelosie, dalle antipatie…».

«L’amore, liberato, si è messo a scorrere in me…». Solo questo amore liberato libera e non schiaccia, non asservisce, è sorgente d’acqua che dà vita. Non necessità di un comandamento, perché è lui che comanda.

«Amore liberato» dall’invidia, dalle gelosie, dalle antipatie scriveva la Hillesum.

Quando si arriva a questi gradi di umanità, l’amore si libera anche da un certo sentimentalismo.

Nel brano dell’Esodo proposto nella prima lettura (Es 22,20-26) si prescrivono azioni specifiche da compiere o da non compiere: non molestare lo straniero, non maltrattare la vedova e l’orfano, presta denaro senza comportarti da usuraio.

Il comandamento entra nella sfera operativa. È prescritto di restituire il mantello preso in prestito, non di provare affetto nei confronti di colui che te lo ha dato in pegno. A venir comandato è un retto modo di agire nei confronti del prossimo. Il comandamento dell’amore è collocato nella sfera operativa, indica questo comportamento: «compi atti che vanno a favore del tuo prossimo; il resto verrà dopo e proprio a partire da quell’agire».

E l’amore di Dio? È immaginabile compiere opere in favore di Colui da cui tutto dipende? La risposta non si discosta dalla precedente.

Amare Dio comporta innanzitutto mettere in pratica la sua parola e quindi compiere la sua volontà. Pure in italiano l’etimo di obbedire deriva da udire. L’«Ascolta Israele» è lo scrigno che contiene il precetto dell’amore di Dio (Dt 6,4-5). Anch’esso si colloca in una sfera operativa.

Non è tutto, ma tutto comincia da lì.

Il resto verrà.

 

 

 

Immagine: Hanneke Beaumont, Le Courage.