Teologia e pastorale dopo la pandemia

L’anno accademico dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e dello Studio Teologico Interdiocesano di Fossano è stato inaugurato nella serata di mercoledì 20 ottobre nella Cattedrale di Fossano. La celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo Piero Delbosco, è stata seguita dalla prolusione di don Giuliano Zanchi, teologo della Diocesi di Bergamo e direttore della “Rivista del clero italiano”. L’intervento aveva come titolo “La pandemia, una rivelazione?!”. Don Zanchi ha tratteggiato alcune caratteristiche del tempo che stiamo attraversando, per offrire alcune prospettive utili per tornare a muovere alcuni passi nel nostro complicato contesto ecclesiale.
Zanchi ha affermato anzitutto che è difficile capire veramente cosa significhi per noi questo evento che ancora ci tiene prigionieri e pertanto si può solo raccontare qualcosa. La pandemia ci ha fatto uscire dalla superstizione della invulnerabilità, ha riportato al centro la morte nella sua gravità e nella sua qualità sociale e ha messo a dura prova il pensiero specialistico, lasciando emergere come la scienza stessa non sia auto-fondata e pertanto non possa rinunciare al compito di “farsi credere”.
Dal punto di vista ecclesiale ha detto: “la pandemia è stata come un incidente che ci ha portati a scendere dall’auto e constatare una usura preesistente di cui non avevamo coscienza”. Due tipi di usure sono venute alla luce: da un lato quella del rito e della liturgia cristiana nella quale ci siamo scoperti spettatori e distanti già prima che il distanziamento fosse norma precauzionale, dall’altra l’incapacità di dire parole adeguate in una situazione tragicamente favorevole a recepirne. “Privata del rito e della prossimità, alla Chiesa sarebbe rimasta la parola. Forse in molti la aspettavano al varco di questa prova. Non sarebbe stato suo compito in queste settimane […] offrire il cibo del senso agli smarriti di cuore?”. A questa provocazione ha fatto seguito la constatazione che “è molto tempo che la parola cattolica viene tenuta in quello stato di semilibertà che l’ha resa inesorabilmente anemica, demineralizzata, sfibrata. Costretta a stare tra le righe piccole di un quaderno per la terza elementare, non ha potuto che rimanere semplice, infantile, stereotipata. Limitata a dare risposte prestampate a domande prestabilite, essa è rimasta un esperanto religioso ancora più astratto e dimenticato di quello linguistico”.
Di fronte a questo quadro don Zanchi ha offerto a professori e studenti due atteggiamenti utili ad orientare lo studio della teologia, perché questo possa illuminare la cosiddetta prassi pastorale. Il primo è l’atteggiamento dell’ospitalità: “la Chiesa sia il luogo in cui possano essere ospitate le parole e le domande degli altri a cui il Vangelo potrà poi rispondere, generando a sua volta parole nuove in grado di fare testo di fronte al desiderio di credere di molti”. Il secondo è “l’atteggiamento dell’invenzione: la storia della chiesa è la cronologia di una ricchissima invenzione di forme, volte a favorire in ogni tempo l’incontro di ogni uomo con Gesù”; anche questo tempo è una favorevole opportunità per fare nuova ogni cosa.
Con queste parole si è conclusa la serata. Esse sono anche l’augurio migliore per i due istituti che da anni formano insegnanti, ministri ordinati e operatori pastorali delle nostre diocesi, perché in essi insegnanti e studenti possano sempre trovare parole per dire la Parola nuova del Vangelo alle genti.