Stampi e matrici dell’oreficeria del Quattrocento

Molto spesso – parlando di opere d’arte del passato – facciamo riferimento alla loro unicità, in contrapposizione alla produzione odierna, quasi sempre seriale e ripetitiva. In verità, il concetto di “lavoro in serie” è molto diffuso nel Medioevo, più di quanto possiamo immaginare.

Tra gli oggetti più ammirati nelle celebrazioni solenni o nelle processioni vi erano certamente le croci processionali: erano costituite da un’anima in legno rivestita in lamine metalliche per lo più in argento. Erano decorate su entrambi i lati con immagini spesso ripetitive: da un lato il Cristo crocifisso con i dolenti, la Maddalena e il pellicano che si strappa le carni (simbolo del sacrificio di Gesù); dall’altro Dio Padre o il santo dedicatario della chiesa, con i simboli degli evangelisti. Proprio questa ripetizione dei soggetti permetteva alle botteghe di lavorare su matrici precostituite, velocizzando così la produzione: queste matrici – particolarmente utilizzate in ambito lombardo – venivano utilizzate sia per le lamine di fondo che per le figure; replicate più volte, talvolta costituiscono una vera e propria firma di bottega o, come nel nostro caso, permettono di mettere in relazione opere di qualità differente. Uno stesso modello poteva infatti essere declinato in più versioni, alcune più raffinate, altre più dozzinali.

E’ il caso della croce processionale di Caraglio che presenta una decorazione canonica, con i bracci percorsi da girali fitomorfi in leggero rilievo, fiori di diverse specie, foglie, grappoli e melograni. Possiamo ragionevolmente supporre che questa sia la crucem argenteam nominata ad inizio Cinquecento in numerosi Ordinati del comune di Caraglio, insieme ad un reliquiario – anch’esso d’argento – ed a una custodia argentea (verosimilmente un ostensorio); di entrambi questi manufatti non si ha più notizia. Dal punto di vista stilistico, colpisce la chiara afferenza alla vigorosa oreficeria lombarda. Da un lato, gli affollati motivi fitomorfi, densi di frutti e fiori di ogni sorta, e le robuste pignette rimandano all’attenzione botanica dei taccuina sanitatis; dall’altro, l’orefice ha saputo creare suggestivi personaggi (in particolare i due Dolenti e l’Eterno benedicente) che emergono plasticamente dagli sfondi delle cartelle, pervasi da una fissità malinconica e senza tempo. L’autore ha indugiato volentieri sui panneggi ondulati e tortuosi, sui capelli pettinati ciocca a ciocca con una diligenza ed un garbo che rammentano certe croci quattrocentesche dell’area comasca.

Assai somigliante alla croce di Caraglio, ma qualitativamente meno pregiata, è la croce d’argento della parrocchiale di Aisone: qui le figure, per quanto innegabilmente affini negli atteggiamenti ai personaggi di Caraglio, non giungono ad essere investite della medesima eleganza raffinata e leggera, ma risultano gravate da una sensibilità meno aristocratica, più domestica e genuina. Anche in questo caso si conferma l’ispirazione all’oreficeria lombarda, sebbene attutita dalla monotonia data dalla lavorazione a stampo; lo sfondo, questa volta quadrettato, è stato forse preso a prestito dalle grandi prove della miniatura.

Laura Marino, Direttore del museo diocesano