Spaziare

Con la mente e con lo sguardo si può spaziare. Lo dice poeticamente Leopardi: «… interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo …» (L’infinito). È il movimento delle rondini che spaziano nel cielo con ampiezza e libertà. È un’attività che si può compiere anche stando seduti o in piedi, immobili. Ma certamente è favorita dal movimento, dal cambio di posizione e prospettiva, tanto che l’etimologia collega questo verbo al passeggiare (spatiari deriva da spatium).

La dimensione attiva emerge ancora di più quando notiamo che spaziare significa anche distanziare gli oggetti, collocarli nello spazio ad una certa distanza. Così avviene in tipografia o nei moderni programmi di scrittura che distanziano i caratteri per proporne effetti diversi nella lettura. Ma ogni collocazione di oggetti in un ambiente prevede che gli spazi siano anche assegnazione di valore, importanza, significato (in alto, in basso, a destra, a sinistra …). Libri, quadri, documenti, armadi, porte e finestre, punti luminosi e sorgenti di luce … parlano diversamente in base alla loro disposizione nello spazio.

Appare come non siano gli oggetti in se stessi, né i luoghi a dettare un messaggio. È piuttosto colui che li percorre con lo sguardo e con i piedi, con gli interrogativi e le curiosità, da solo o in compagnia di altri … a dialogare con i luoghi, trasformandoli in spazi. «Lo spazio è un luogo praticato» afferma Michel De Certeau («L’invenzione del quotidiano»).

Attività elementare della cultura è praticare gli spazi: passeggiare in un giardino, celebrare in una chiesa, lavorare in un’officina. Richiede coinvolgimento e scelte, che non possono essere anticipate dal rendering progettuale. Richiede ascolto: i luoghi parlano con la storia di cui sono impregnati. Fin dal principio Dio assegna uno spazio ad ogni cosa: tenebre, luce, acque, terra … (cfr. Gen 1).