L’archivio non serve a niente. Se poi l’archivio è della chiesa, men che meno, si occupi di cose più importanti e urgenti! Non è difficile sentire questa affermazione nelle conversazioni ordinarie, nel momento in cui dici di lavorare in un archivio o di fare una ricerca. A ciò aggiungiamo una miriade di stereotipi, a volte alimentati anche da film o libri. Allora quale è il senso di un archivio storico, e per il nostro caso, di un archivio storico ecclesiastico?
In un’epoca di grandi cambiamenti sociali, ci si pone diverse domande etiche e morali su numerosi atteggiamenti umani. La pandemia di Covid19 non ha aiutato a trovare risposte, anzi sembra che abbia acuito problematiche e questioni in precedenza lasciate irrisolte. E una di queste riguarda il senso di comunità: il trovarsi insieme per fare qualcosa (una lezione, una cerimonia, un pranzo, un gioco, una passeggiata…) è stato impedito, l’incontrare qualcuno è diventato un difendersi continuo (gel disinfettanti, mascherina, distanza…). In questa situazione di fragilità, possiamo provare a tracciare il servizio che gli archivi ecclesiastici possono assumersi nei confronti della comunità.
Il Sinodo diocesano da poco indetto ha tre verbi guida: ascoltare, confrontarsi e cambiare. Credo fermamente che il primo servizio dell’Archivio storico diocesano, come istituto, ma anche di tutti gli archivi parrocchiali e religiosi, sia quello di offrire la possibilità dell’ascolto. Infatti per loro stessa natura, questi istituti culturali hanno il compito di conservare le tracce delle molte voci che compongono la società: senza dubbio la voce del potere, della gerarchia e della burocrazia è quella che più risuona. Solo con la pazienza della lettura fuoriescono, come un coro, le persone che ci hanno preceduto: gli atti anagrafici (sacramentali), raccolti in 30 metri lineari, parlano di quasi tutti coloro che sono passati, per tanto o poco tempo, per fare cose grandiose o per rimanere all’ultimo posto, per stare o per spostarsi. Guardando a questa tipologia documentaria, insieme ad altre come le visite pastorali o le relazioni dei parroci, non si può che rimanere in silenzio… ed imparare ad ascoltare.
L’archivio racchiude tanti punti di vista: non è vero che ci sono solo segreti! La lettura di come i nostri antenati hanno affrontato problemi simili ai nostri può aiutare a fare dei confronti: per esempio, come hanno affrontato l’emigrazione novecentesca, le epidemie, le alluvioni… Attenzione: nel passato non si trovano mai le soluzioni complete per il presente, come le esperienze altrui non ci forniscono soluzioni esattamente conformi a noi. Occorre invece guardare al passato per poter raccogliere idee e situazioni e progettare meglio il futuro. Spesso si dice che la storia si ripete: falso! Un aforisma attribuito a Mark Twain dice che la storia fa le rime: significa che cambiano il tempo e le persone, ma alcune condizioni di contesto o certi meccanismi rimangono uguali. Quindi qualunque progettazione si faccia, dall’edificio parrocchiale alla nuova comunità cristiana, occorre fermarsi e confrontarsi seriamente con il proprio passato. Anche se non è facile, anche se fa paura, l’archivio conserva il passato.
Ed infine, dopo l’ascolto e il confronto, occorre l’azione, cioè cambiare. Quale miglior luogo per vedere i cambiamenti? L’archivio è il deposito della vita quotidiana, sui documenti si possono leggere i passaggi, migliorativi o peggiorativi, della società. Tra le carte emerge la bellezza e la responsabilità del cambiamento, che non è mai rinnegamento. Dalla lettura emerge la necessità di cambiare e adattarsi ai tempi, pena il rimanere isolati.
L’Archivio storico diocesano di Cuneo vorrebbe fare propri questi verbi. Grazie ad operazioni di messa in sicurezza e inventariazione del materiale documentario, è possibile accogliere e accompagnare ricercatori e semplici curiosi. L’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione, come la piattaforma BEWeb e il sito diocesano, rende concreto il desiderio di aprirsi e spiegarsi sempre di più alle generazioni giovani perché conoscano il serbatoio di conoscenza, sappiano il percorso che li ha preceduti e ha reso possibili tanti diritti. A questo si aggiunge il cammino di dialogo iniziato sia con gli altri istituti culturali diocesani sia, cosa più importante, con gli uffici pastorali della Diocesi, per scoprire il valore cristiano del nostro patrimonio artistico e della nostra memoria. La condivisione della fede in Gesù Cristo richiede un cammino comunitario, che nel tempo è stato declinato in diversi modi: ascoltarli e confrontarsi con essi permette di approfondire e rendere più autentica la propria fede. Per riprendere il titolo, «Guardati dal dimenticare» è l’imperativo rivolto dal Signore al popolo d’Israele (Dt 6, 12): il rischio dei cambiamenti è quello di correre e cancellare, mentre le azioni di ascolto e confronto possono gettare solide basi per crescere senza dimenticare.
Dunque, sviluppare una cultura sinodale con l’Archivio credo significhi aiutare la comunità a conservare la propria memoria, in modo serio e sereno, promuovendo sia l’accesso diretto sia la lettura delle fonti. Vorrei concludere con una citazione sui compiti che spettano ad archivi e biblioteche, perché ritengo siano aspetti fondamentali per una vera sinodalità: «forniscono un insieme eterogeneo di idee e conoscenze […], contribuiscono al rispetto dei principi delle società aperte favorendo l’integrità di chi prende le decisioni […], forniscono un punto di riferimento fisso [per] conoscere verità e menzogne […], contribuiscono a rafforzare le identità storiche e culturali della società, conservandone la documentazione scritta» (Richard Ovenden, Bruciare i libri, Solferino 2021, p. 273).