Uno degli archivi meglio conservati presso l’Archivio storico diocesano è quello della famiglia nobiliare Pascal d’Illonza. L’alto livello di mantenimento è testimoniato dalla presenza di un volume fondamentale: si tratta del “Repertorio delle scritture”. Redatto intorno al 1786, è lo strumento guida per rintracciare le carte, poiché le descrive e le situa all’interno dell’organizzazione generale dell’archivio che non è stata intaccata nonostante i secoli. In termini archivistici, questo è chiamato ‘inventario’.
Nella dottrina archivistica l’inventario rientra nella famiglia degli strumenti di corredo, cioè quei mezzi di aiuto e sostegno all’utente che si appresta a studiare il patrimonio documentario. Se si legge il repertorio di casa Pascal, come qualunque altro inventario, si può vedere un elenco di date e descrizioni dei documenti. Sostanzialmente, riprendendo le parole di Eugenio Casanova, l’inventario serve “semplicemente di sapere se quell’atto esista e ove esista” (Archivistica, 1928, p. 252). E questo aspetto non è secondario, poiché un tempo era fondamentale conservare ogni carta attestante un diritto (soprattutto se di esenzione da tasse!) ed oggi è importante sapere cosa si conserva per poter operare al meglio, senza sprechi. Un’altra testimonianza dell’importanza di questo elenco ci è data dall’ “inventaro delle scritture del Capitolo della Colleggiata [attuale Cattedrale, ndr] della S.ma del Bosco della Città di Cuneo”, datato 1673, in cui si elencano donazioni, quietanze e atti notarili.
Al giorno d’oggi se ci fermassimo solamente a questo primordiale scopo, ne esce il ritratto di uno strumento estremamente freddo, senza informazione alcuna. Grazie alla presenza di diverse introduzioni, invece, l’inventario diventa “lo strumento di ricerca concettualmente più elaborato e più rigoroso sotto l’aspetto formale”, per usare le parole di Paola Carucci nel suo manuale di archivistica (in collaborazione con M.R.Guercio, 2008). Le operazioni che si portano avanti in ogni archivio, e ancor più nell’Archivio storico diocesano, riguardano infatti non solo l’ordinamento cronologico e logico dei documenti, bensì anche la redazione di spiegazioni di natura storica e metodologica. Prima dell’elenco dei documenti, sono infatti presenti, ormai obbligatoriamente per legge, un’introduzione sulla storia del soggetto che ha prodotto le carte e un’introduzione sui lavori eseguiti su di esse. Solo leggendo queste informazioni il ricercatore ha una vera e propria guida all’archivio. Ricordiamo inoltre che l’organizzazione dei documenti riflette il funzionamento e l’articolazione del soggetto produttore. Risulta fondamentale conoscere la storia dell’ente e delle carte prima di addentrarvisi.
Si comprende allora come l’inventario di un archivio non si limita ad elencare: prendendo in prestito le parole di don Giuseppe, questo mezzo di corredo ha lo scopo “non di riportare indietro al passato, ma portare avanti, verso il futuro […]”. L’archivista lavora perché le carte siano accessibili e comprensibili; il suo è un continuo servizio di restituzione “alle persone e alle comunità […] di quanto ricevono dal passato per renderlo più corrispondente alla volontà del presente”. Restituire attraverso un inventario significa dare la possibilità di comprendere un pezzo della propria storia perché la memoria continui e produca nuovi buoni frutti.
Nella pagina dedicata ai fondi archivistici dell’Archivio storico diocesano si possono trovare già alcuni inventari conclusi, ma si è già all’opera su diversi altri complessi documentari: l’archivio della Curia vescovile e del Seminario vescovile sono due importanti lavori che stanno volgendo al termine. Adesso è il momento di redigere i rispettivi inventari, a cui seguirà la pubblicazione e la piena messa a disposizione del patrimonio. L’opera di restituzione della memoria non finisce mai…
Martino Dutto, archivista