Nell’iconografia tradizionale così come nei presepi delle nostre case, intorno alla Natività dal carattere più intimo si sono costruite scene sempre più spettacolari e affollate con una moltitudine di figuranti che uniscono l’omaggio dei pastori e dei re Magi d’Oriente al Bambino: angeli, popolani e potenti della terra si uniscono per accogliere il piccolo Gesù, portandogli doni.
Tra i primi ad arrivare alla capanna dopo l’annuncio dell’angelo sono «i pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge». Citati nel vangelo di Luca – che però non offre molti dettagli sull’argomento – i pastori hanno costretto gli artisti a lavorare di fantasia per interpretare il racconto evangelico. Non sapendo con precisione il loro numero, i pastori sono solitamente tre, per fare da pendant ai re Magi. La devozione popolare non poteva credere che essi si presentassero a mani vuote ed ecco allora le loro braccia e le loro ceste riempirsi di semplici doni che, naturalmente, non possono rivaleggiare con quelle dei Magi, ma provengono dalla loro quotidianità: uno porta l’agnello più bello del suo gregge, il secondo il bastone da pastore, il terzo una torcia. Anche questi doni sono stati interpretati: l’agnello (rappresentato con le zampe legate a partire dall’arte della Controriforma) fa riferimento al sacrificio di Gesù, il bastone indica che sarà pastore d’anime e la torcia che i suoi discepoli lo seguiranno come un novello Orfeo. Talvolta, nelle scene più complesse e soprattutto a partire dal XVI secolo quando il tema beneficia delle popolarità crescente della pittura di genere, altri pastori si aggiungono alla scena e portano dei doni rustici: una brocca di latte, dei volatili o un cesto di uova.
Qualche tempo dopo, giunge alla capanna il sontuoso corteo dei Magi, ricco di offerte portate dai Re. L’oro è un omaggio alla regalità di Cristo, l’incenso alla sua divinità, la mirra, che serviva a imbalsamare i cadaveri, sarebbe un richiamo al destino di Cristo, chiamato a morire per la redenzione umana. Più prosaica e pratica l’interpretazione proposta da San Bernardo: l’oro sarebbe servito a dare sollievo alla povertà della Sacra Famiglia, l’incenso a disinfettare e profumare la stalla, la mirra, che passa per vermifugo, a fortificare il bambino. Al di là del significato più o meno simbolico, le forme dei recipienti che contengono i doni offrono una grande varietà di tipologie, non di rado ispirate all’oreficeria contemporanea al punto che l’offerta dei Magi diviene un’esposizione di vasi preziosi. Per lo più, ma sempre in maniera discrezionale, Melchiorre offre l’oro in un cofanetto; Gaspare l’incenso in un corno; Baldassarre la mirra in un ciborio.
Lo schema compositivo dell’Adorazione del Bambino è tratto dall’arte imperiale romana e bizantina che aveva raffigurato sugli archi di trionfo processioni di barbari orientali che venivano a rendere omaggio all’imperatore: la teoria dei Magi è una riproduzione semplificata di questo cliché. A poco a poco poi il simbolo si tramuta in spettacolo: soprattutto in ambito centroitaliano, l’Adorazione diviene un semplice pretesto per compiacere la vanità dei donatori, che si fanno ritrarre nel corteo e ostentano la propria ricchezza e il proprio abbigliamento lussuoso.
Laura Marino, Direttore del museo diocesano