Sir 3,19-21.30-31; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24a; Lc 14,1.7-14
Nel giorno di sabato nelle pagine evangeliche succedono sempre cose interessanti. Quel giorno, dove si rende onore alla grandezza dell’Altissimo, è anche tempo dove ogni volta è svelata la verità di molti cuori.
Così accade in questo brano evangelico, in una circostanza che dovrebbe essere rilassata: un pranzo a cui Gesù è stato invitato da gente che conta.
Ma è sufficiente l’annotazione di Luca che i commensali «stavano ad osservarlo»(potremmo tradurre «lo spiavano») per dire appunto lo svelamento dei cuori. Gesù accetta l’invito a pranzo di un fariseo, ma si viene a trovare in un contesto che nutre prevenzioni, sospetti e diffidenze nei suoi confronti.
Ma, pur essendo «sotto osservazione», è Gesù stesso che osserva, fa attenzione e nota «come» gli invitati sceglievano i primi posti. Le sue successive parole nascono da questo sguardo, dall’osservazione della realtà e questo rapporto con l’esperienza spiega il carattere sapienziale delle sue parole. Messo al centro dell’attenzione, Gesù non perde quella rapidità dello sguardo che gli consente di infrangere subito molti incantesimi. Gli basta raccontare una delle sue parabole per mettere un grande specchio davanti ai comportamenti dei suoi ospiti.
Gesù esprime un’osservazione di buon senso per evitare brutte figure. Meglio scegliere un posto defilato e vedersi magari chiamati dal padrone di casa a venire in un posto più in vista, piuttosto che piazzarsi in un posto di primo piano ed essere poi costretti a cederlo a un invitato più ragguardevole e dover occupare un posto marginale. Nel primo caso uno «riceve onore davanti a tutti i commensali», nel secondo invece viene svergognato «dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto».
Ma quella offerta, però, non è una semplice regola del galateo.
Probabilmente, nessuno degli invitati che il Maestro osservava, mentre stavano scegliendo i primi posti, si rendeva conto d’essere in realtà non alla ricerca di un posto a tavola, ma di un posto nella vita; e di un posto davanti agli altri, agli occhi degli altri. Quello che accadeva intorno a quella tavola era «parabola» di ciò che accadeva, e ancora accade, nelle circostanze della vita.
Ma un banchetto in cui occorre lottare per conquistare i primi posti è cosa triste, non di certo una festa. Anche perché, quando hai raggiunto quel posto, cercherai di difenderti per resistere ad ogni insidia che nasce dall’invidia degli altri.
Se vuoi che il banchetto sia veramente un’occasione di festa per te – dice Gesù – occupa l’ultimo posto, perché quello rimane libero per chi non partecipa alla lotta per i primi posti. Allora accadrà che ti ha invitato ti dica: «Amico, passa più avanti».
Perché accadrà così? Perché chi invita al banchetto della vita è Dio stesso, che è sceso ed ha preso l’ultimo posto.
Anche parlando di un banchetto, Gesù riesce a parlare dell’agire sorprendente di Dio: nel banchetto del Regno sono i poveri ad avere i posti privilegiati e gli ultimi a essere i primi.
Per noi è prassi usuale invitare a casa nostra le persone amiche, quelle a cui siamo legati da vincoli di affetto e simpatia, quelle che ci inviteranno a loro volta. Oppure invitare persone potenti e autorevoli che interverranno in nostro favore nel momento del nostro bisogno obbedendo a una logica tacita di scambio di favori. Gesù dunque mette in guardia da logiche di dare e avere che corrompono i rapporti facendoli uscire dalla gratuità e rendendoli rapporti di potere e complicità. Tale reciprocità è estranea all’agire di Dio. E rivela che, per l’uomo, questa logica illogica diviene fonte di beatitudine: «sarai beato perché non hanno da ricambiarti». La beatitudine consiste nella partecipazione alla sorte di Gesù che ha amato unilateralmente gli uomini nel loro peccato e nella loro inimicizia, che non ha cercato ricompense e non ha preteso di essere riamato in cambio del suo amore. La beatitudine riservata a colui che invita e ospita è destinata alle persone capaci di gratuità: a quelli che, non ricevendo ricompensa ora dagli invitati, la riceveranno da Dio stesso!
I discepoli sono chiamati ad occupare come Gesù gli ultimi posti e a sentirsi oggetto dell’amore di Dio non in quanto amici, fratelli, parenti, ricchi, ma in quanto, loro per primi, poveri, storpi, zoppi e ciechi che non hanno nulla da dare in cambio di un tale invito, ma tutto da ricevere come dono: un dono gratuito non dovuto e non meritato.
Immagine: Pranzo comunitario in una mensa della Caritas – Ansa
