Non tutto ciò che gli umani fanno è umano! Ci sono disumanità come le torture, l’abbandono o lo sfruttamento di bambini, la mercificazione delle persone e dei loro corpi … Quanti compiono queste azioni appartengono alla specie umana, ma certamente non possono qualificarsi umani!
Ci sono, inoltre, operazioni che richiedono parole aggiuntive per giustificare la propria umanità. È il caso, ad esempio, di un intervento armato a scopo umanitario, che pone fine ad un genocidio. L’umanità di operazioni del genere può essere molto grande, ma certamente va mostrata. Dove troviamo i criteri per qualificare l’umanità di un intervento militare?
Ci sono, inoltre, attività intercambiabili tra umani e non umani. Pensiamo, ad esempio, al lavoro svolto dalle intelligenze artificiali. Quando un lavoratore può essere sostituito da un robot e le sue decisioni da un software ci sono differenze?
Ecco che cosa significa qualificare umanamente ciò che facciamo. Significa contrassegnare il mondo con le dimensioni specifiche della persona, della singolarità, della coscienza! Significa sottoporre a giudizio ciò che facciamo: «è umano tutto questo?».
Nel difficile compito di discernere quanta umanità ci sia o quanta ne manchi nelle cose che gli esseri umani fanno sulla terra, la cultura svolge un servizio importante, per il fatto che pone ogni volta domande, interroga, mette il dubbio negli sguardi con cui consideriamo le cose, le persone, le situazioni. Non solamente le grandi operazioni, ma anche i prodotti e gli strumenti della vita quotidiana ci vengono consegnati per essere qualificati umanamente.
E c’è speranza che anche quel che resta delle disumanità del passato possa essere ri-qualificato! Anche qui sta un compito del lavoro culturale: riqualificare quanto gli uomini hanno fatto e portarlo al servizio di una migliore umanità.