Progettazione dei nuovi impianti tecnologici della chiesa parrocchiale Cuore Immacolato di Maria in Cuneo

Ogni volta che dopo i santi scendiamo in cripta per le celebrazioni sento un po’ un tuffo al cuore: non vedo più la maggioranza dei parrocchiani in volto e molti mi stanno alle spalle. Proclamando la Parola vedo una pila di cemento e l’assemblea non riesce a vedere il pane spezzato che diventa il semplice segno di Gesù in mezzo a noi.

Ogni volta che a Natale e poi, definitivamente, a Pasqua risaliamo nel Tempio, sento il cuore che si apre e le mani che vorrebbero alzarsi da sole. Sì, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia nel Tempio io mi sento chiamato alle altezze, all’ossigeno dello Spirito Santo, ad una chiesa che si fa tenda. E poi i colori delle vetrate, la bellezza del sole che ci bacia con i suoi riflessi, il tabernacolo aperto sempre a noi, la grande mensa eucaristica unita all’ambone attorno ai quali possiamo stare veramente tutti, il battistero che ci ha generati come grembo gravido di vita, l’amore crocifisso che si dona a tutti…

La nostra chiesa è un’opera d’arte! Tutti gli aspetti che ho citato, insieme a molto altro, sono un appello ad essere una comunità viva, solare, ampia, ossigenata, raccolta attorno all’Amore, in
ascolto. Una comunità che celebra con la mente, il cuore, tutto il corpo. Nel tempio persino le pietre sembrano cantare la liturgia del popolo di Dio. Che meraviglia!

È da qui che è partito il sogno: tornare a celebrare nel tempio, tutto l’anno. Tornare su per sentire la nostra vocazione alle altezze. Tornare su per costruire la tenda di Dio tra gli uomini. Tornare su per lasciarci colorare il volto dalla bellezza di Dio. Tornare su per fare della nostra comunità e delle nostre celebrazioni un’opera d’arte! Ora il sogno diventa cantiere.
Sogno e cantiere. Due parole che mi sono care. Il sogno di celebrare sempre l’eucaristia domenicale viene da lontano. Potrei dire che mi ha preceduto ed era presente nel cuore di don Giorgio, fondatore della parrocchia, quando, più di 60 anni fa, decise di sognare in grande. Di non limitarsi a costruire un capannone con un altare, una croce e poco più. Ma di osare di far incontrare una visione teologica della chiesa con l’arte e l’architettura. Un sogno che veniva alla luce negli anni del Concilio.

Ecco sparire la balaustra che separava clero e laici, ecco l’idea di una grande tenda dove ci sia posto per tutti e dove ci sia un centro molto evidente: l’amore di Gesù crocifisso risorto che si rende presente in ogni celebrazione eucaristica. Ecco la grande catasta di legno che riscalda tutto coloro che stanno attorno. E poi l’altezza della chiesa perché il credente non si senta oppresso ma spinto in alto. In un ambiente così ampio da non sentirsi al chiuso. Bellissimo! Un’architettura al servizio della liturgia o ancor di più un’architettura che diventa elemento attivo del celebrare. Mi vien da dire: “Dimmi dove celebri e ti dirò chi sei, qual è la tua immagine di Dio e di chiesa, di preghiera e di umanità”.

La scelta di far entrare così tanta luce, attraverso il lucernario sopra l’altare, la ferita di luce lungo tutto il perimetro e le grandi 8 vetrate racconta di una comunità che desidera farsi illuminare dal Cristo risorto, sole che non tramonta mai. Sogni che sono diventati cantiere e realtà. Negli anni successivi venne la sofferta scelta di celebrare più frequentemente in cripta, pensata originariamente solo per l’adorazione. Ma il sogno era un altro.

Ed ora quel sogno torna ad essere cantiere con tre grandi interventi: il riscaldamento che ci permetterà di celebrare sempre nel tempio, l’illuminazione che esalterà l’architettura tutta e l’impianto acustico che servirà l’ascolto della Parola. Il sogno diventa cantiere: è questo che fa vivere noi esseri umani.

Don Carlo Occelli