ORIENTARSI, PREGARE, GOVERNARE…

Pensando alla parola del mese – “orientare” – la prima associazione che ci viene in mente è probabilmente “mappa”: una mappa è infatti il primo riferimento per capire dove ci troviamo – almeno fisicamente – dove vogliamo andare, quale percorso seguire. Un tempo in formato cartaceo, oggi in digitale le mappe sono uno strumento sicuro nella definizione delle coordinate del nostro cammino. Lo sono state naturalmente anche in passato, ma spesso con connotazioni politiche e religiose non secondarie.

Solo per citare un caso “particolare”, il senso di smarrimento dato dall’incertezza del viaggio – tanto più per mare – durante il XIV secolo portò ad una consistente produzione di ‘carte da navigar’, soprattutto in area veneziana. In particolare furono realizzati nella città lagunare quattro atlanti, tra i prodotti più antichi della cartografia nautica medievale ancora oggi esistenti, dove le informazioni geografiche di primo Trecento si fondono con lo splendore della miniatura in una sapiente e fortunata combinazione. Queste opere, con le loro immagini sacre miniate, potevano essere sentite anche come dei «talismani protettivi» e fungere anche da «piccoli e comodi altari portatili» (Laura De Marchi). Dunque un orientamento e una sicurezza non solo di carattere pratico, ma anche devozionale.
Redigere una mappa o commissionare una veduta aveva però anche scopi ben più concreti: significava delimitare il territorio, confermare un possesso o rinnovare un monito verso i nemici. È il caso del Theatrum Statuum Sabaudiae, la più importante raccolta di immagini delle dimore, chiese, luoghi, facenti parte degli stati sabaudi alla fine del XVII secolo. Voluto in prima battuta da Carlo Emanuele II, vide infine la luce nel 1682 ad Amsterdam. Se da un lato l’impresa aveva lo scopo di mostrare alle corti europee la magnificenza dei possedimenti sabaudi, dall’altro voleva ammonire sulla potenza delle fortificazioni difensive, ragione per la quale anche Cuneo e Demonte compaiono nell’opera. Nel tempo, queste vedute sono diventate essenziali nello studio del territorio poiché costituiscono una sorta di “fotografia” (anche se non sempre precisa) dell’aspetto delle città nel secondo Seicento e mostrano chiese e conventi oggi scomparsi.
La redazione di mappe si rendeva tanto più necessaria quando si venivano a creare nuovi confini amministrativi, come avvenne dopo la caduta di Napoleone con la ridefinizione dei confini delle diocesi piemontesi. Con la bolla Beati Petri Apostolorum Principis del 17 luglio 1817 Pio VII aveva ridefinito le Diocesi subalpine e istituito la nuova diocesi di Cuneo. Al momento della sua istituzione la nuova diocesi contava una cinquantina di parrocchie molte delle quali appartenevano in precedenza alla diocesi di Mondovì: per stabilire i nuovi confini e le proprietà, si realizzò allora una mappa ad inchiostro e acquerello che rappresenta l’estensione del nuovo territorio diocesano, con campanili, frazioni e principali vie di comunicazione. Come indicano l’elegante iscrizione e lo stemma presenti sulla cornice, l’opera è dedicata al primo vescovo di Cuneo, Amedeo Bruno di Samone.