Ml 3,19-20a; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19
Gesù nel vangelo mette in guardia dal senso di angoscia e dall’ossessione che alcune immagini di antichi racconti possono procurare, falsando il senso dei loro ammonimenti. «Non vi terrorizzate – dice Gesù – non lasciatevi ingannare quando sentirete qualcuno che dirà: “È la fine, ecco il Signore è qui! No, il Signore è là!”. Voi non muovetevi». Che potrebbe essere tradotto con: «Non traballate in preda al panico o all’eccitazione».
È lo stesso messaggio di Paolo che parla di alcuni che, con la scusa dell’attesa imminente del Signore, vivono senza più far nulla e in continua agitazione. Oscillano fra l’angoscia della fine del mondo e l’euforia dell’imminente interruzione della storia. Passano il tempo a discutere, domandarsi: «Quando verrà? Come verrà? Che cosa dobbiamo far? Hai sentito ieri che cosa è successo? Dio mio, allora ci siamo!». Tra domanda e domanda, dice Paolo, nell’attesa del Signore, non fanno niente. E così la comunità, che vive nell’attesa del Signore, non ne trae alcun beneficio, semmai riceve altra agitazione e questa, dice Paolo, è l’ultima cosa di cui si ha bisogno.
Gesù descrive eventi comuni a tutte le epoche della storia, che noi stessi – purtroppo – riconosciamo come eventi consueti e ripetitivi: «Arriveranno guerre, poi ci saranno carestie…». E la sfida, dice Gesù, è proprio questa: se questi eventi vengono raccontati come la ‘fine del mondo’, se vi agitate anche voi, un numero sempre maggiore di persone ne verrà frastornata e paralizzata. Cresceranno l’eccitazione e l’angoscia, ma anche la rassegnazione e il disinteresse. Con il pretesto della fine di tutte le cose, gli umani vivranno una vita leggera, disimpegnata, vuota. Se tutto è segnato dal presentimento della fine, il rischio è che non valga nemmeno la pena di incominciare.
Il tempo che precede il Natale è dedicato alla meditazione dei molti modi in cui viene il Signore. Ma il tema della sua venuta è incentrato sull’icona della Nascita, non della grande catastrofe. Il tempo dell’attesa è tempo della fede operosa, non dell’angoscia, della paralisi e della disperazione. Tempo per non cadere nell’ingenuità di una religione che dimentica i drammi e le fatiche del tempo dell’attesa, ma anche per purificare una religione che non s’impegna nel tempo, con l’ossessione della fine.
Il credente non sta fermo e non si agita. Conosce le difficoltà della vita e della storia dell’uomo, e cerca, guidato dalla Scrittura e dall’esperienza della Chiesa, il modo in cui il Signore si avvicina.
Da sempre, e non solo ora, i tempi sono terribili, la società sempre senza valori, le persone sempre smarrite. Per alcuni versi, questa pagina evangelica non è tanto diversa da quella di un quotidiano odierno. C’è una radice di distruttività nelle cose, nella storia, in me, ma non vincerà: nel mondo intero è all’opera anche una radice di tenerezza, che è più forte.
Al di là di profeti ingannatori, al di là di guerre e tradimenti, anche quando l’odio dovesse dilagare dovunque, ecco che: «Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto».
Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra delle nostre magnifiche costruzioni. Non c’è nessuna cosa che sia eterna, ma l’uomo resterà per sempre e nemmeno il più piccolo capello andrà perduto. Si spegneranno le stelle prima che tu ti spenga. Saranno distrutte le pietre, ma tu ancora sarai al sicuro nel palmo della mano di Dio.
Ad ogni descrizione di dolore, segue un punto di rottura, dove tutto cambia; ad ogni tornante di distruttività appare una parola che apre la feritoia della speranza: «Non vi spaventate, non è la fine; neanche un capello andrà perduto…; risollevatevi…».
Il Signore sta alla porta, è qui, e fa giungere luce nel cuore dell’universo; il coraggio, che è la virtù degli inizi e del primo passo; la pazienza, che è la virtù di vivere l’incompiuto in noi e nel mondo.
Il mondo è un immenso pianto, ma è anche un immenso parto.
Cadono molti punti di riferimento, ma questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Ogni giorno c’è un mondo che muore, ma ogni giorno c’è anche un mondo che nasce.
Immagine: i resti dell’abbazia di Whitby (Inghilterra del nord)
