Mitigare è contrastare l’irruenza. Si mitigano, ad esempio, le correnti dei fiumi con opere di contenimento, che non possono certamente fermare l’acqua, ma renderne meno devastante il passaggio. Presa coscienza degli effetti che hanno i cambiamenti climatici sulle popolazioni umane e sugli ecosistemi, uno dei grandi investimenti culturali dell’epoca contemporanea è la ricerca di strategie di mitigazione (mitigation), associate a strategie di adattamento (adaptation).
La mitigazione è pratica quotidiana della vita sociale. Nelle relazioni primarie di famiglia, di amicizia, di collaborazione lavorativa, come in quelle tra i gruppi sociali, il cantiere della mitigazione non può mai essere considerato definitivamente chiuso.
Da mitigare è anche la propria vita interiore. L’irruenza di ciò che abita l’interno del cuore umano si incanala nelle passioni, che richiedono mitigazione. Non si tratta di dominare razionalmente le emozioni, ma di orientare forze e debolezze personali verso scopi umani sensati. I pensieri della mente, gli scatti della volontà, i giudizi … maturano attraverso la mitigazione.
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5) proclama il Vangelo. Indica una modalità con cui afferrare le situazioni e con cui abitare il mondo. È una strategia alternativa a quella della bellicosità e della padronanza. I momenti in cui diventiamo più vulnerabili, sono anche quelli in cui scegliere se vogliamo opporci frontalmente al nemico o spuntarne l’aggressività con delle contro-mosse inaspettate.
L’arte prodotta nelle trincee, ad esempio, testimonia un investimento umano di energie non rivolte a sconfiggere gli avversari. Il mite sospende l’ansia di vincere sui nemici, sui terremoti, sulle malattie, sui sistemi di ingiustizia … e investe su operazioni inaspettate, che umanizzano gli ambienti, le relazioni e gli oggetti quotidiani. Ben venga la cultura della mitigazione soprattutto nell’epoca dei cambiamenti!