Lettere dal fronte libico e dalla prigionia in Africa

Dei cinque preti cuneesi cappellani militari durante la seconda guerra mondiale, due rimasero prigionieri fino al 1946. Uno di questi, don Rosso, fu catturato in Tunisia nel maggio del 1943 e tornò in Italia ben tre un anno dopo la fine della guerra, nel maggio 1946, dopo aver condiviso tra anni di prigionia militare sotto truppe francesi in Algeria.
Rosso Giovanni, nato a Pratavecchia di Dronero nel 1912, si era formato nel Seminario di Saluzzo. Ma dopo l’ordinazione diaconale, nel 1934, era stato richiesto come suo segretario da monsignor Giacomo Rosso, già parroco a Dronero, quando venne nominato vescovo di Cuneo il 14 novembre 1934.
Da segretario del vescovo, don Rosso, il 24 settembre 1940, fu precettato come cappellano militare, ed inviato con le truppe partenti per il fronte libico, dove sbarcò nel settembre 1941. Sperimentò con gli uomini della “Trieste” l’euforia della riconquista della Cirenaica e poi l’amarezza della disfatta.
Il 12 maggio 1943 anche don Rosso cadde prigioniero delle truppe americane e francesi in Tunisia e fu deportato nel campo di concentramento in Algeria, per un periodo di oltre 3 anni, fino al rientro a Napoli il 21 maggio 1946. Al rientro tornò ad un ritmo di vita di semplice prete al servizio dell’insegnamento del francese in Seminario e di religione nelle scuole medie cittadine. Don Rosso morì a Cuneo il 22 marzo 1999.
Di questa tragica esperienza è rimasta la corrispondenza tra don Rosso e l’omonimo vescovo di Cuneo. Ed è stato proprio il vescovo a conservare le lettere ricevute da don Rosso, riconsegnandogliele poi al suo rientro e conservate come memoria preziosa di un’esperienza che ha aveva segnato decine di migliaia di giovani, mandati trionfalmente nella pazzia della guerra e poi lasciati per anni in prigionia, anche ben dopo la fine della guerra, fino al sospetto di esser totalmente dimenticati dalla stessa nazione che li aveva inviati!
In tutto questo don Rosso non perse di vista il suo incarico pastorale, come il vero motivo del suo essere stato inviato tra quei soldati ed affinò la sua cura morale per le persone che in quel dramma passavano in atteggiamenti contrastanti: dalla riscoperta della fede per aggrapparsi ad una qualche protezione superiore, alla disperazione di chi sentiva crollare ogni senso di vita umana.
Come egli stesso scrisse: “Solo la Fede, vorrei dire la santità cristiana può dare la forza morale sovrumana necessaria a superare questo periodo, e, purtroppo, Voi ben sapete, questa fede profonda e viva non è patrimonio di tutti né di molti”. Questa fu la sua vita di prete e come lui stesso ebbe a scrivere, della sua santità, ordinaria ma profonda.

A cura di Gian Michele Gazzola e Luciano Parlata
Collana: Relazioni n. 2
Cuneo, Edizioni Primalpe, 2016, pp 236