Le trame del Sacro

Usi e riusi dei tessili tra liturgia e mondanità

A volte crediamo che l’abbigliamento e la moda siano una “fissazione” del mondo contemporaneo, dimenticando invece il ruolo fondamentale che ebbero nel passato. I tessili e gli abiti ebbero importanza primaria non solo nel mondo laico ma anche e soprattutto in quello religioso. La foggia e il colore di un abito ne indicano l’uso, la dignità di chi lo porta e sono strettamente legati all’individuazione della gerarchia, dei ruoli e del rito stesso.

Eppure questi mondi – apparentemente così lontani – in passato si mescolarono spesso, scambiandosi modelli, decori, colori e addirittura abiti stessi! A partire dal IV secolo dopo Cristo, ossia dopo l’editto di Milano, si assiste ad una diversificazione, nel taglio e nella foggia, fra le vesti sacre e quelle secolari; per sottolineare l’importanza della celebrazione gli abiti dei celebranti venivano confezionati in tessuti preziosi dai molti valori simbolici: abiti e colori distinguevano il ministro dall’assemblea e differenziavano il ruolo gerarchico dei celebranti. Il materiale che più di tutti concorse alla definizione delle massime cariche sociali fu la seta: leggera e lucente rimandava alla grazia e allo splendore ultraterreni, accentuati dalle tinte pregiate, dalle complesse lavorazioni e dai decori con fili di metalli preziosi realizzati a ricamo o a telaio. Acquistare un abito non era un investimento da poco sia dal punto di vista economico sia per il riscontro sociale; il prezzo per un tessuto pregiato poteva addirittura superare quello per un oggetto di oreficeria o un dipinto di grandi dimensioni. Fino alla metà del Settecento circa, non sussisteva una netta distinzione fra i diversi ambiti d’impiego: troviamo infatti gli stessi motivi ornamentali sui paramenti sacri, sulle più raffinate vesti di rappresentanza o sulle tappezzerie più esclusive. Ne sono una dimostrazione le due pianete conservate a Cervasca e a Bersezio, che furono confezionate con un tessuto ornato da mazzolini di fiori e decori a pizzo dall’andamento a meandro, del tutto simili a quelli che troviamo nell’andrienne (l’abito femminile per eccellenza del XVIII secolo) oggi conservata al Victoria&Albert Museum di Londra. Il motivo decorativo è molto simile ai disegni dei produttori di seta lionesi L. Galy Gallien e Compe risalenti al periodo 1765-1770.

Sfortunatamente, non sappiamo i paramenti furono ricavati da abiti donati alle chiese da qualche fedele in segno di devozione (pratica attestata fin dal Medioevo e che perdura almeno fino a tutto l’Ottocento) oppure, secondo un’altra consuetudine altrettanto diffusa, da abiti acquistati dalla stessa chiesa sul mercato dell’usato. Va detto che questi tessuti dovevano apparire agli occhi dei contemporanei come dei veri e propri tesori; basti pensare che nel 1633 la somma versata per l’acquisto di una veste usata femminile superava quella richiesta nel 1624 da Anton van Dyck per i ritratti a figura intera di Caterina (oggi Genova, Palazzo Reale) e Marcello Balbi Durazzi (oggi Venezia, Ca’ d’oro).

Laura Marino, Direttrice del museo diocesano