Per il mese di dicembre 2021 d. Giuseppe Pellegrino, Vicario episcopale alla cultura, propone la parola «SOFFERENZA» invitando a interrogarci su come questo termine possa entrare nei beni culturali ecclesiastici ed in che modo possa colloquiare con essi. In questo periodo di pandemia la sofferenza è tema quanto mai attuale: nei luoghi preposti alla cura fisica (gli ospedali) come in quelli preposti alla cura spirituale (le chiese), nelle comunità come nelle famiglie ogni cosa sembra ricondursi ad essa. Il periodo che stiamo attraversando lascerà una ferita profonda che forse solo il tempo potrà alleviare perché inevitabilmente il dolore segna ogni momento del nostro lavoro. Perché allora non porsi in contrapposizione positiva ripartendo proprio da essa? Così come, operato un buon restauro, è nostro dovere consegnarlo alle comunità che verranno a testimonianza di chi lo ha realizzato e per mantenerne viva la memoria («[… ] le cose sono più preziose nel ricordo di quanto non lo sia esso nel suo rinnovarsi [… ]»diceva John Ruskin in «Le sette lampade dell’architettura» parlando della sesta lampada ovvero la memoria), allo stesso modo bisogna rendere testimonianza del tempo che stiamo vivendo. Una bella esperienza potrebbe essere la riplasmazione dello spazio sacro di una chiesa, all’interno di un intervento più generale di restauro e rifunzionalizzazione; nel progettare i poli sacri della fabbrica si potrebbe calibrare la progettazione tenendo conto non solo del «genius loci» ma anche e soprattutto del particolare momento in cui viviamo. Ecco allora che la ferita profonda potrebbe trovare spazio come un segno tangibile che entra nella materia di cui è costituito l’altare, a significare la lesione nel costato di Cristo ma anche la lesione nella comunità causata dalla pandemia. Lo stesso segno, magari tinto di rosso su un fondo neutro in pietra o legno potrebbe trovare spazio negli altri fuochi come l’ambone, la riserva eucaristica e la sede del celebrante. Un segno forte capace di esprimere tutta la sofferenza del genere umano, ora come allora, testimone più che mai del tempo presente. Certamente sarebbe una palestra progettuale stimolante, con alla base un significato profondo su cui reggersi: come dire che ancora una volta, se ben pensati, i beni culturali sono in grado di esprimere in maniera importante le emozioni (siano esse positive o negative) e trasmetterle alle comunità presenti e future.
Igor Violino
Direttore ufficio beni culturali ecclesiastici ed edilizia per il culto della Diocesi di Cuneo