Domenica 15 novembre 2020
La quarta Giornata Mondiale dei Poveri, voluta da Papa Francesco, ci invita a “Tendere la mano al povero” (cfr Sir 7,32). È un tema di grande attualità che non può lasciare nell’indifferenza nessuno. In questi mesi, anche il tempo di pandemia ha fatto emergere nuove povertà vicino a noi. I centri della Caritas ed altri enti di assistenza hanno incrociato nuove richieste di aiuto, alcune inaspettate.
Le nostre comunità cristiane non possono essere insensibili a queste grida di dolore. Abbiamo scoperto la fragilità dei nostri ambienti ed il flebile equilibrio della nostra terra. La tecnologia, fine a sé stessa, ci ha distolti dall’attenzione verso coloro che facevano fatica e vedevano spegnersi le loro risorse.
Vi sono state vere iniziative di solidarietà che hanno coinvolto giovani e meno giovani in gesti di vero amore. Guai se rimangono un puro ricordo o eventi isolati. Con un po’ di coraggio, proviamo a mettere in questione i nostri stili di vita spesso al di sopra delle nostre possibilità. Chi ha sperimentato la povertà sa che è difficile tendere le mani. Dobbiamo chiedere a Dio il dono dell’essenzialità e il dono di provare a condurre una vita più semplice, più vera, più povera. È una modalità che ci aiuta a spalancare gli occhi su coloro che ci vivono accanto mettendo da parte ogni forma di indifferenza.
Sono i poveri che ci aiutano a ridimensionare le nostre aspirazioni e i nostri desideri.
Sono i poveri i nostri “padronissimi”, come diceva San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il grande santo della carità scaturito proprio dalla nostra terra. Ha vissuto con i poveri, condividendo tutto; soprattutto li ha amati.
Sono i poveri a richiamarci il valore dei gesti, degli sguardi, degl’incontri, delle relazioni, della carità.
Sono ancora i poveri a mettere in noi la nostalgia delle cose pulite senza essere appesantiti da inutili fardelli che ci trasciniamo dietro.
Accorgerci della loro presenza ci obbliga a maggiori condivisioni di tempo, di spazi, di denaro, di cose, di attenzioni e di gesti. Spesso, con l’accatastare cianfrusaglie nelle nostre abitazioni, le abbiamo rese invivibili e sono diventate vere catene che bloccano. Una maggiore libertà da esse ci apre verso una comprensione di noi stessi meno isolati, meno paurosi, meno individualisti. Le nostre case hanno bisogno che siano abitate e devono diventare luoghi di incontri e relazioni dove si impara ad amare. Educare ed educarci al dono ci fa riassaporare la bellezza dell’essere creature amate e scelte da Dio.
Ci auguriamo che, nelle nostre realtà ecclesiali, ci sia sempre una attenzione privilegiata per ogni forma di povertà, senza sentirci troppo buoni. Semplicemente camminiamo insieme nella solidarietà, nella giustizia e nella vera pace. Cogliamo nei poveri il Signore che ancora una volta ‘bussa’ alla nostra porta.
I Vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta