Il cielo in una chiesa

Spesso – con molta presunzione – noi “abitanti” del XXI secolo ci arroghiamo l’onore di scoperte e innovazioni senza guardare al passato, senza conoscere chi ha già percorso questa strada prima di noi. Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante nel campo della rappresentazione tridimensionale e della realtà aumentata che ci permettono di trasformare gli spazi, alterare le superfici, lavorare sulla meraviglia e sulla percezione. Ma siamo sicuri che questa sia prerogativa del nostro tempo? In passato era veramente tutto piatto e inanimato?

Dopo la metà del XVII secolo, l’estensione e l’arredo del santuario della Madonna dei Boschi di Boves non erano più sufficienti e adeguati alle esigenze della popolazione; così i massari si adoperarono per trovare fondi e artisti per ampliare la chiesa e aggiornarne la decorazione. Non era la prima volta che si metteva mano alla struttura del complesso: presente nei documenti a partire dal XIII secolo (ma gli scavi attestano un’origine più antica), la chiesa fu decorata intorno al 1470 – 1480 con un ciclo di affreschi dedicato alle Storie di Maria e dell’infanzia di Cristo. Circa un secolo dopo si provvide all’abbattimento della parete opposta all’altare con edificazione di un corpo di ampliamento e si realizzò la copertura a volta, il tutto decorato dal famoso ciclo pittorico con il Giudizio universale e le Storie della Passione (ante 1583). Nel XVII secolo toccò poi al lato opposto, con la creazione dell’ampio presbiterio affrescato, l’ancona in legno e la splendida statua della Madonna con il Bambino (1628). La devozione mariana che aveva indirizzato la decorazione nel corso dei secoli fu alla base anche delle scelte iconografiche per il nuovo ambiente: lo Sposalizio, la Visitazione, le cartelle con le invocazioni, l’Incoronazione hanno come fulcro la figura della Vergine. Tutto l’ambiente è incentrato sulla definizione di una nuova spazialità e non si si limita solo ad aggiungere metri cubi all’edificio, ma apre letteralmente la visuale su un’altra realtà: le architetture dipinte sulle pareti creano sfondati prospettici, suggeriscono la presenza di passaggi porticati, balconcini, cantorie, ma soprattutto scoperchiano la chiesa e ci offrono lo spettacolo del Paradiso, con Maria incoronata dalla Trinità circondata da una moltitudine di angioletti musicanti seduti tra le nuvole. Un’iscrizione nell’intradosso della finestra ci dice che il ciclo fu realizzato intorno al 1694, data interessante per le sperimentazioni sulle architetture dipinte: tra 1675 e 1678, infatti, Andrea Pozzo aveva realizzato quel capolavoro pittorico che è la decorazione della chiesa di San Francesco Saverio a Mondovì Piazza. Il pittore trentino, su commissione Gesuiti, aveva messo in atto un gioco illusionistico capace di ingannare l’occhio dello spettatore mescolando le architetture reali a quelle dipinte utilizzando la complessa tecnica dell’anamorfosi, in cui tutte le linee prospettiche convergono in un unico punto, dal quale l’immagine è perfettamente leggibile. Cambiando posizione e spostandosi all’interno dell’edificio le figure appaiono invece deformate e prive di proporzione. Al di là del virtuosismo pittorico, questo tipo di decorazione è fortemente legato alle predicazioni dell’epoca della Controriforma che incoraggiano il fedele a mantenere lo sguardo fisso sulla dottrina cattolica e a non perdere la giusta prospettiva seguendo i precetti protestanti. Di lì a poco Pozzo andrà a Roma per realizzare la famosa volta della chiesa di Sant’Ignazio – sempre dei Gesuiti – opera che non sarebbe stata possibile senza la precedente esperienza a Mondovì: entrambe emergono come punti di riferimento per il nostro artista “bovesano”.

Laura Marino, Direttrice del museo diocesano