Uno dei luoghi di arte e fede più conosciuti del territorio diocesano è il santuario della Madonna dei Boschi di Boves. L’interno del santuario è decorato da tre grandi cicli pittorici appartenenti a epoche diverse: il ciclo quattrocentesco con le “Storie della vita della Vergine e dell’infanzia di Cristo”, il grande Giudizio Universale della seconda metà del Cinquecento e la Gloria mariana inquadrata in finte architetture nel presbiterio, del 1694.
Nella seconda metà del Quattrocento le pareti della navata vennero affrescate con un importante ciclo dedicato alle Storie della Vergine e dell’Infanzia di Gesù: la lettura dei riquadri inizia in fondo alla parete sinistra, accanto alla porta laterale, con la scena della Cacciata di Gioacchino dal Tempio e termina sulla parete di fronte con Gesù tra i dottori. Al racconto mancano però almeno due capitoli fondamentali, l’Annunciazione e il Matrimonio di Maria e Giuseppe, che andarono distrutti nel Cinquecento, quando la parete terminale della chiesa fu abbattuta per ampliare l’edificio. Dell’autore si ignora il nome, ma gli studiosi lo hanno battezzato “Maestro della Madonna dei Boschi di Boves”, proprio perché questo è il suo ciclo più importante, anche se ha lavorato in molte località del basso Piemonte e della Liguria.
Si tratta di un artista documentato soprattutto i luoghi di devozione mariana, con un raggio d’azione piuttosto ampio: lo ritroviamo infatti a Montanera, Monesiglio, Castellaro di Imperia, Verzuolo, Villanova Mondovì e Cuneo. Anche in mancanza di firma, è possibile riconoscerlo con poco margine di errore grazie a un utilizzo costante di cartoni e modelli che legano in una sorta di “parentela” i personaggi: i cartoni erano tracce realizzate in scala 1:1 che venivano appoggiate alla parete da dipingere; il contorno delle figure veniva ripassato con una punta metallica in modo da lasciare un piccolo solco – guida sull’intonaco bagnato, oppure opportunamente bucherellato e cosparso di fuliggine o terra rossa. Nel primo caso l’utilizzo era naturalmente limitato nel tempo per motivi di usura, nel secondo caso il cartone poteva essere impiegato più volte; lo scopo era naturalmente di semplificare e velocizzare il lavoro della bottega ed è per noi un ottimo indizio in fase di attribuzione. Questo pittore si rivela particolarmente delicato, essenziale nella narrazione degli episodi che sono collocati in ambienti spogli e con pochi fronzoli, ma anche attento ai dati di moda e alla luce che avvolge le forme, proietta ombre e definisce i volumi: le ombre portate sullo sfondo da alcuni oggetti denunciano una riflessione sulla prospettiva e la tridimensionalità non comune nel nostro territorio nell’ultimo quarto del XV secolo, periodo al quale vengono riferiti gli affreschi.
Ma c’è un ultimo aspetto che colpisce in questo ciclo, un aspetto che ben si adatta all’incipit della riflessione sulla parola del mese: “Esprimere vuol dire rendere visibile l’anima!”. Pur nell’essenzialità delle scene, i personaggi compiono gesti pieni di attenzione, gesti che parlano di affetto, di gioia, di rispetto tanto nelle vicende più solenni quanto nei momenti più quotidiani. Nell’immagine – purtroppo frammentaria – della Nascita di Maria un premuroso Gioacchino imbocca Anna che riposa in un bel letto con tanto di lenzuola immacolate, una piccola attenzione colma di amore nei confronti nella neo mamma. Sulla parete opposta, la scena dell’Adorazione del Bambino, essenziale ma intima nella sua impaginazione, mostra in primo piano la Sacra Famiglia raccolta, con Giuseppe che si toglie il cappello davanti al piccolo Gesù; sullo sfondo, l’asino leva al cielo il suo raglio, quasi a voler sottolineare con la sua voce – certo meno armoniosa di quella degli angeli! – la gioia portata al mondo dalla nascita del Salvatore.
Laura Marino, Direttore del museo diocesano