Firmi qui

Riprendendo quanto suggerito da don Giuseppe, una delle pratiche di libertà più grandi è la pratica della scrittura. Per noi uomini e donne del mondo cosiddetto occidentale scrivere è una pratica scontata, che quasi non parla più di libertà ma solo di legge (qualcosa che opprime) o di antichità (“cadaveri di un vissuto”). 

Sfogliando i registri e i documenti dell’Archivio scopriamo invece la storia della scrittura come vera pratica di libertà. Saper scrivere non è semplicemente un diletto, un passatempo: nei tempi passati era sinonimo di potere. Il sacerdote sapeva scrivere, come i nobili, i magistrati della città, qualche religioso… mentre il popolo no, a malapena sapeva leggere. E ciò lo si vede molto bene dalle firme.

Nei registri dell’archivio della Confraternita di S. Giacomo e S. Sebastiano vediamo la firma del pittore Alessandro Trono (1697-1781) su un documento contabile. Fosse un personaggio contemporaneo dello spettacolo, questa firma varrebbe soldi; invece all’epoca era fondamentale perché apposta a garanzia dell’avvenuto pagamento dello stipendio.

Accanto alle tracce di questi personaggi di rilievo, ricordiamo anche i signa tabellionis: antesignani di timbri e sigilli, sono le firme che identificano i tabellioni (notai). Ogni notaio ne aveva uno e lo metteva prima o dopo la redazione del documento per dare all’atto autenticità e valore giuridico. Noi ne apprezziamo l’aspetto estetico, ma in realtà lo scopo originale era di tipo legale. Ci sono altre tipologie di autenticazione, come i sigilli o particolari formule, ma sempre nei documenti ufficiali le firme sono importanti. Un’altra firma che esprimeva l’autorità è la firma del vescovo: nel registro degli ordinati del Seminario vescovile, per esempio, il vescovo Clemente Manzini (1844-1865) si firma e appone prima la croce. Questa è una pratica rimasta inalterata finora ed esprime il ruolo che riveste la persona fisica.

Abbiamo detto che non tutti sapevano scrivere: come fare ad apporre firme sui documenti ufficiali allora? Il notaio segnava l’incapacità e il soggetto firmava con una croce. Lo possiamo vedere in un registro dell’amministrazione del santuario di S. Anna di Vinadio: le firme che si susseguono parlano da sé sul ruolo e sul grado di alfabetizzazione. L’arciprete (sacerdote) e il sindaco hanno mano ferma, mentre altri consiglieri hanno una grafia molto tremolante. E poi le croci, segno di non saper scrivere, ma di assenso.

Firmare significa esprimere un consenso: oggi noi siamo abituati a firmare tante volte su tanti tipi di documenti e questo dice che ci assumiamo la nostra parte di responsabilità! Praticare la propria firma, così come praticare la scrittura e la lettura, rientra nella sfera della libertà: quando ci troviamo con la penna in mano non diamo per scontato nulla né agiamo con leggerezza. Abbiamo conquistato questa pratica con fatica, gli archivi ce lo ricordano: non svendiamo la libertà.