Unire

Unire immagini, parole, musica, corpi può dar vita ad un vero spettacolo o ad un film. Ma il collegamento non viene da sé, va costruito con arte. Ecco un primo esempio per indicare quell’attività elementare della cultura che è unire. Non solamente mettere insieme generi diversi. Ma costruire rapporti e dialoghi tra di loro.

Unire dei punti significa creare una figura, far nascere una realtà nuova che non è la somma dei punti stessi, ma il legame a cui essi danno vita. Unire un passo dopo l’altro fa tracciare un percorso.

Il verbo unire si presta a subire la violenza dell’unificazione, dell’uniformità, della fusione in un corpo solo. Ma questa operazione non è degna di portare il nome di attività culturale.

Il modello ispiratore è piuttosto quello della Creazione, raccontata dalla Genesi. Innanzitutto, il Creatore divide, separa e pone distanza (Gen 1). Crea le condizioni perché coloro che sono stati distanziati possano cercarsi, dialogare, realizzare alleanze, provare a comprendersi e costruire una storia insieme. Anche il racconto di Babele rinnova questa idea: i popoli vengono dispersi sulla terra e parlano lingue diverse, perché successivamente giungano a comprendersi, percorrendo una via più lunga (Gen 11). Quando l’accordo arriva troppo presto, c’è il rischio di cadere nell’inganno dell’uniformità.

Imitare il Creatore significa generare universi: costruire legami e percorsi tra realtà differenti, tra interrogativi e conoscenze. Ecco il grandioso progetto del movimento scolastico nell’Europa del XIII secolo, da cui sono nate le Università. Ora, in epoca di specializzazioni e di mondi separati, «i teologi sono rimasti gli ultimi universalisti» (J.B. Metz). Continuano a credere che la ricerca di Dio possa unire frammenti di esperienza umana, cucire lacerazioni, recuperare il «filo rosso della sofferenza» (Metz), che lega le generazioni.