Es 16, 2-4.12-15; Sal 77; Ef 4, 17.20-24; Gv 6, 24-35
Le letture di questa domenica le sintetizzerei con un verso del poeta Mario Luzi che scriveva: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?».
Detto altrimenti: come mai in quanto umani «siamo pieni di mancanza», cioè siamo pieni di qualcosa di cui sentiamo la mancanza?
La mancanza può avere un senso negativo, come nostalgia di un tempo giudicato migliore e che non permette di apprezzare l’oggi. Come il popolo d’Israele che rimpiange la schiavitù e le cipolle d’Egitto e domanda «Che cos’è?» quel pane che il Signore fa discende per loro dal cielo.
Anche la gente che seguiva Gesù sentiva la mancanza di un pane che era frutto di un miracolo che riempiva la pancia.
Poi l’incontro con il Maestro di Nazaret apre gli occhi su un altro senso della mancanza: ti fa capire che il tuo cuore è pieno della ricerca di un senso per vivere.
«Fossimo morti in Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando a sazietà»: Israele rimpiange quando era schiavo del bisogno. E quando l’uomo cerca solo il cibo che perisce, alla fine s’augura di morire.
Israele, ora che non ha più da mangiare, s’accorge che ciò che dava senso alla sua vita era la sazietà, la pancia piena. A volte l’uomo s’inganna così: quando è affamato pensa che a riempire la vita sia li cibo e poi quando ha la pancia piena si addormenta. È vero che l’uomo nasce affamato: il bambino ha fame di sua madre che lo nutre di latte, di carezze e di sogni; il giovane ha fame di amare e di essere amato. Ma quando hai raggiunto tutto questo e dovresti essere appagato, ti rendi conto di ciò che scriveva sant’Agostino: «Ci hai fatto per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1).
Forse nemmeno i cristiani credono più di tanto a questa affermazione: si ha la paura di credere e di dire ad altri che solo in Cristo troviamo pace; abbiamo paura di parlare di questa mancanza che tocca la vita dell’uomo.
La gente va da Gesù, chiede i miracoli, chiede il pane, e il Signore dà anche questo, ma poi non si accontenta perché sa che l’uomo è fatto per qualcosa di molto grande e solo Lui è quel pane capace di sfamare quella mancanza di cui l’uomo è pieno.
Questa mancanza può fare paura, generare un senso di vuoto, evidenziare il nostro limite di uomini. Ma questo «mancare sempre di qualcosa» è anche la nostra fortuna, perché è così che nasce il desiderio di amare, progettare, andare verso gli altri. Se noi fossimo pieni, non avremmo bisogno dell’altro, non avremmo bisogno di niente.
«Che osa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» domanda la gente e Gesù risponde: «Credete in me». Credere, che significa: decidersi, scegliere.
Nella vita abbiamo già fatto esperienza che niente e nessuno riempie del tutto quella sete d’infinito che l’uomo porta nel cuore, abbiamo già fatto esperienza che se si riesce a vivere il Vangelo, quella Parola non delude.
Perché fatichiamo a credere, a deciderci per Gesù Cristo? Perché spendiamo molte energie per il cibo che perisce? I motivi di questa fatica probabilmente sono molti.
Chiediamo comunque di rivolgerci a Gesù non solo per i problemi che ci può risolvere, ma per il cammino che ci aiuta a compiere per portarci ad andare oltre la soglia dei bisogni e farci crescere nel desiderio di cercare in Lui il senso del vivere, cercare Lui a partire da quella mancanza di cui il cuore dell’uomo ad un tratto ne è pieno.