“Tendi la mano al povero, non tenerla in tasca”

Riprendendo le parole del libro del Siracide, papa Francesco sostiene l’attualità di questo insegnamento che oltrepassa lo spazio, il tempo, le religioni e le culture. “La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati”. Non si può soffocare questa forza per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto. “Non possiamo sentirci ‘a posto’ quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra”. Francesco parla del grido silenzioso dei tanti poveri che deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi. Riconosce anche che “la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sente in dovere di presentare le istanze di quanti non hanno il necessario per vivere”. Per ricordare a tutti il grande valore del bene comune.

A questo proposito ricorda il pontefice che “tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere!”. Gli esempi sono quella del medico che si preoccupa di ogni paziente, dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati; chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. Francesco ricorda anche “La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare”.

La pandemia è giunta all’improvviso, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza, sostiene il Papa. “Questo momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà”. Molti hanno perso il lavoro, degli affetti cari, la mancanza delle consuete relazioni e gli uomini hanno scoperto di avere paura. “Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale”, continua Francesco, “Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità”.

Il Papa conclude con il riferimento ad un altro passo del libro del Siracide: “In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine”. Francesco privilegiando la parola fine la identifica con lo scopo verso cui ognuno tende. “È il fine della nostra vita che richiede un progetto da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi. Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro che l’amore. Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine appare nel momento in cui il bambino si incontra con il sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo”.