In ricordo di Giovanni Romano
Tra le capacità eccezionali dei grandi storici dell’arte c’è quella di dare voce alle opere: “restituire” un contesto, un autore, una storia a capolavori semi-dimenticati; osservare con occhi nuovi e vedere ciò che era sfuggito; costruire relazioni tra oggetti – luoghi – documenti credibili e illuminanti. Tutto questo non è da tutti; tutto questo è stata la lezione di Giovanni Romano, professore emerito dell’Università di Torino, Soprintendente e maestro di generazioni di storici dell’arte, scomparso alla vigilia di Natale. L’«opera del mese» che apre questo 2021 racconta appunto la storia di una “restituzione” importante, quella dell’Ultima Cena oggi al Seminario vescovile.
Chiunque sia entrato nell’Aula Magna del Seminario di Cuneo è rimasto certamente affascinato dalla gigantesca tela raffigurante l’Ultima Cena appesa sulla parete di fondo. Eppure, l’opera è stata per lungo tempo pressoché ignorata dagli studi ed è rimasta senza un autore e una provenienza fino a pochi anni fa. Nel corso delle ricerche archivistiche sulle soppressioni napoleoniche, Francesca Quasimodo aveva proposto di identificarla con il «gran quadro in testa alla Scala [della Certosa di Pesio] rappresentante la Cena del Signore», citata negli inventari del 1802. In seguito, il dipinto viene trasportato a Cuneo dalle milizie francesi e ricoverato insieme a molti altri tableaux nella biblioteca di San Francesco e Santa Chiara. Salvatosi in qualche modo dalla vendita all’asta (fortuna che non ebbero molte altre opere oggi disperse), giunse in Seminario all’inizio del 1822.
È esposto e studiato per la prima volta in occasione della mostra “La Carità svelata. Il patrimonio artistico della Confraternita e dell’Ospedale di Santa Croce in Cuneo”, allestita nel 2007 in San Francesco e curata di Giovanna Galante Garrone, Giovanni Romano e Gelsomina Spione. Proprio la scheda di Romano mette per la prima volta in relazione la tela con il pittore Antonino Parentani, dal 1602 primo pittore di corte di Carlo Emanuele I. A partire da questa data, Parentani è coinvolto nella decorazione del castello di Torino (attuale Palazzo Madama) e delle altre residenze ducali, ma soprattutto nel cantiere di rinnovamento della Grande Galleria di Carlo Emanuele I, avviato dal 1606 con il coordinamento di Federico Zuccari. La Grande Galleria collegava il Palazzo ducale di Torino all’antico castello e fu distrutta da un incendio nel 1659 e definitivamente demolita in epoca napoleonica. Poco dopo questa grande impresa, ritroviamo Parentani insieme alle medesime maestranze (in particolare gli stuccatori Rusca) alla Certosa di Pesio, per la decorazione a stucco e ad affresco del ricchissimo catino absidale e per la redazione delle due importanti tele con santi certosini, oggi a Madonna dell’Olmo.
Confrontando la tela del Seminario con la Pentecoste di Gassino e inquadrandola nella campagna decorativa della Certosa, Romano restituiva dunque l’opera ad uno degli interpreti di primo piano della cultura artistica del Piemonte tra XVI e XVII secolo, protagonista del rinnovamento dell’immagine della corte torinese in chiave moderna. E facendo ciò restituiva a noi tutti non solo la storia di un’opera, ma le coordinate per leggere la geografia culturale di un intero territorio.
Laura Marino, direttore Museo diocesano