Prima del principio era il silenzio.
“La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (Gn 1,2)
Poi venne la parola. A staccare dal fondo vuoto e silenzioso la luce, l’acqua, le cose. Con la stessa solennità con cui il più grande dei compositori entra a orchestra schierata. Un brivido percorre il teatro e dal silenzio di velluto con un cenno impercettibile nasce la magia della musica. La musica è proprio la danza tra suono e silenzi che genera emozioni, riflessioni e preghiere. Nell’alternarsi di pausa e musica si generano le melodie. Il ritmo prende senso se alle note si aggiungono sapienti silenzi che lascino risuonare il canto. Nell’esperienza della liturgia accade, similmente, la stessa dinamica. Il ritrovarsi al sole del sagrato, il chiacchiericcio di chi si incontra, l’ingresso dallo spazio luminoso fuori alla penombra del tempio. Le parole di saluto si fanno sussurrate e si prende posto in attesa. Una campanella scocca l’ora e le dita esperte sulla tastiera d’avorio strappano al silenzio la musica che sintonizza le voci nell’inno di inizio per la preghiera. Come in una nuova creazione, il vuoto informe e deserto è riempito con parole nuove, che aprono al dialogo, all’invocazione, alla supplica.
Il nostro organo è vecchio e stanco. I suoi mantici sono polmoni fiacchi, le canne ingobbite dal tempo non rispondono più all’arte di chi è seduto alla consolle. La sua voce è diventata opaca. Continua, nonostante tutto, a accompagnare le nostre liturgie, specialmente durante le feste, e tributa il giusto onore ai nostri cari nell’ora dell’ultimo saluto. Siamo affezionati ormai al suo suono un poco sgangherato e al suo aspetto decadente, ma vogliamo rianimarlo, perché torni a essere brillante protagonista delle nostre celebrazioni.
La qualità delle celebrazioni dice qualcosa della qualità della nostra comunità. Siamo molto attenti a far crescere la comunione tra noi e sentiamo la chiamata a rendere le nostre strade un luogo dove si abbia voglia di abitare, dove le relazioni umane contino e dove gli incontri, la cura vicendevole e la voglia di nutrirci a vicenda con esperienze di bene crescano sempre di più. Così possiamo sognare insieme una colonna sonora che accompagni con la sua bellezza il nostro camminare. Uno
strumento che sappia generare ancora dal caos un piccolo cosmo da chiamare casa. Un organo che si faccia voce del nostro essere fratelli.
don Fabrizio Della Bella