La parola silenzio non compare nei testi di teologia, nemmeno nei dizionari di teologia, in cui ricorrono centinaia di voci. Per secoli, silenzio era solo una pratica della vita monastica, inculcata nelle case di formazione, dalle scuole ai seminari e noviziati.
Nei primi decenni del novecento Romano Guardini, partendo dal clima di raccoglimento indispensabile per entrare nella preghiera, collegò il silenzio non a semplice contesto esteriore, ma allo spazio interiore dove l’uomo raccoglie se stesso, si apre al mistero di Dio e dove può coltivare il legame vivo con l’altro. E questa comunione si è fatta più reale nella persona di Gesù Cristo, in cui Dio si è fatto cuore umano (il Sacro Cuore della devozione cristiana) e da cui è sgorgata la Chiesa, cioè la comunione che lo Spirito ravviva nei discepoli del Cristo.
In modo simile, queste scintille vennero riprese da un quasi discepolo di Guardini, Karl Ranher che nel 1938 pubblicò uno dei suoi primi scritti, tradotto poi in italiano nel 1956, col titolo: “Tu sei il silenzio”. Il volumetto venne ripubblicato nel 1964, durante il concilio Vaticano II, inserito in una collana di meditazione e predicazione dell’editrice Queriniana, con un sottotitolo che compare solo in quarta di copertina: Colloqui con il Dio altissimo. Col tono di preghiera il giovane teologo, aveva allora 34 anni, dialoga con il Dio della vita, della preghiera, della conoscenza, della legge… toccando quindi le materie della teologia, evidenziando per ogni aspetto il mistero che supera ogni capacità umana di “comprensione”, nel senso etimologico della parola, per cui evidentemente Dio non si può afferrare e chiudere negli schemi umani, nemmeno dei trattati di dogmatica.
Per la teologia del tempo era un azzardo quasi eretico, perché imperava la scuola neotomistica, secondo la quale la verità teologica è guidata da una logica razionale, ferrea quanto una dimostrazione matematica, i riti liturgici sono un compito minuzioso, la legge ecclesiastica è la via della salvezza, da districare nella congerie di 2414 canoni, con le aggiunte dei giuristi. Rahner annotava: “Il tutto è da imparare e seguire, come la guida di un turista perso in un paese straniero”.
Lo stesso Signore Gesù, che è il dono con cui Dio si è fatto vicino, che è venuto tra noi a Betlemme ed ha amato in modo concreto per farsi vicino alla nostra finitezza, in nome dell’amore infinito di Dio, poi è “partito per un paese lontano”; infatti ogni anno noi continuiamo a pregarlo perché venga ed attendiamo il suo ritorno. E Gesù stesso ci ha messo di fronte al silenzio della morte: la sua e la nostra, da noi disattesa, ma inesorabile.
Il filo di questi dieci capitoletti è intessuto di preghiera, attingendo alle radici bibliche, da Giobbe all’Ecclesiaste (oggi noto come Qohelet), con piena fiducia nella parola del Vangelo. La stessa presentazione dell’edizione italiana evidenzia che questo non è un trattato di teologia, ma il segno di una ricerca di Dio. Ed è una premessa molto simile a quella scritta per un altro testo guardato con sospetto dalla teologia romana, pubblicato da Henri de Lubac nel 1956 e pubblicato in italiano tre anni dopo: “Sulle vie di Dio”. Anche qui si fa cenno alle razionali vie per dimostrare Dio, e poi si evidenzia la via maestra: l’uomo fatto ad “immagine di Dio”, pienamente manifestato in Gesù; ma al centro dell’opera si affronta “La ineffabilità di Dio”, cioè il mistero per cui non ci sono parole adeguate per dire Dio.
Stava avvenendo nella teologia, non per opera di mistici, guardati con distacco dai teologi di provata competenza, ma da giovani studiosi, che alla base delle loro affermazioni, che andavano oltre le solide posizioni della dogmatica, rispolveravano la tradizione dai Padri a san Bonaventura, col suo “Itinerario della mente verso Dio”.
In modo meno inquietante nel 1955 un altro promettente teologo, Hans Urs von Balthasar pubblicava “La preghiera contemplativa” in cui poneva la vita cristiana nella conformità alla parola divina, come luogo dell’inabitazione di Dio nell’uomo, in continuità con l’incarnazione del Verbo divino in Maria. Ed era la via indicata nel titolo tedesco originario del libretto di Rahner: “Worte ins Schweigen” = “Parole nel silenzio”. Non si trattava di rinnegare i teoremi della dogmatica cattolica e dei fondamenti die diritto canonico, come paventavano teologi paludati e gerarchi delle curie, ma di riprendere in modo umile il cammino di ascolto della Parola, il cui primo passo non è pretendere di definire Dio e di difendere la giustizia divina, misurando al centesimo le sue indulgenze, ma riscoprirne con stupore la manifestazione della misericordia in Gesù Cristo.
Vennero sospetti e condanne; poi vi fu l’evento del concilio Vaticano II, in cui questi giovani teologi poterono plasmare il messaggio del dialogo della salvezza; si risollevò l’onda del giuridismo; ed ora, pur con fatica, anche i papi pongono alla base del loro magistero il Dio “ricco di misericordia” e cercano di promuovere il cammino dei credenti nell’ascolto del Vangelo di Gesù.
(Karl Rahner, Tu sei il silenzio, Brescia, Queriniana, 1956)