Si era già quasi all’anno terzo dopo il mille quando nel mondo intero, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si ebbe un rinnovamento delle chiese basilicali: sebbene molte fossero ben sistemate e non ne avessero bisogno, tuttavia ogni popolo della cristianità faceva a gara con gli altri per averne una più bella.
Rodolfo il Glabro, XI secolo
Le parole di Rodolfo il Glabro fotografano con grande precisione la volontà di rinnovamento delle chiese europee in epoca medievale. Paesi grandi e piccoli investono risorse e denari per ingrandire o abbellire gli edifici di culto. Sebbene a quell’epoca il territorio della diocesi di Cuneo fosse frammentato sotto il potere di diversi vescovi, vi sono alcuni fenomeni storici e artistici che accomunano l’intera area. Tra XIII e XV secolo, insieme alla nascita dei Comuni, si andarono formando anche le parrocchie, grazie alla rinascita data dalla crescita demografia ed economica che caratterizzò gli anni dopo il 1000. Nel giro di qualche secolo le parrocchie furono pronte per celebrare i principali sacramenti, tra cui – naturalmente – il battesimo. Questa premessa si rende necessaria per comprendere la grande diffusione di una particolare tipologia di fonti battesimali, largamente diffusa in tutto il cuneese: si tratta di manufatti in pietra scolpita la cui forma richiama quella dei calici coevi usati per la celebrazione dell’Eucarestia. Sono accomunati da una struttura simile che rimanda alla forma di un calice e che può essere suddivisa in tre parti: il piede rialzato dal profilo ottagonale è talvolta mosso da elementi a rilievo come stemmi o immagini bibliche; sul nodo ottagonale compaiono solitamente le iniziali A(ve) M(aria) G(ratia) P(plena) D(ominus) T(ecum) B(enedicta) oppure – più raramente – elementi araldici o decorazioni geometriche. La tazza esagonale o ottagonale con gli spigoli percorsi da foglie dai bordi frastagliati e appuntiti mostra facce con stemmi, iscrizioni o elementi decorativi. Sul bordo della tazza è scolpita la scritta (spesso abbreviata) «Credo in Deum Patrem Omnipotentem Creatorem celi et terrae». Le parti sviluppano un messaggio di chiara interpretazione: a partire dall’alto, il battesimo è espressione della fede in Dio che poggia saldamente sull’incarnazione nel seno di Maria Vergine, senza dimenticare un richiamo al particolare momento politico o a specifiche corporazioni, titolari della committenza.
Nel Piemonte sudoccidentale questi manufatti sono stati in gran parte ricondotti alla bottega dei fratelli Zabreri, la cui produzione unisce il territorio come un filo rosso quasi senza soluzione di continuità. La bottega degli Zabreri (o Chiabreri), originari di Pagliero in valle Maira, è una delle più attive e conosciute dell’area cuneese; ad essi è stata attribuita la maggior parte della produzione epigrafico scultorea della seconda metà del XV secolo: acquasantiere, fonti battesimali, capitelli, architravi con iscrizioni accomunati da un canone di scrittura pressoché identico e dall’affinità delle forme. Caratterizzati da uno stile vicino al gusto tardogotico, incline alla calligrafia e al linearismo, gli Zabreri monopolizzarono la produzione della seconda metà del Quattrocento nel marchesato di Saluzzo e in tutta l’area cuneese, dalle vallate alpine alla pianura. Questa bottega diede origine ad una vera e propria dinastia locale, proponendo un repertorio figurativo piuttosto ristretto e basato sulla ripetizione in serie delle decorazioni e delle tipologie. Questo modus operandi assicurò la sopravvivenza dei medesimi schemi per diversi decenni. La pratica di inserire spesso la data di realizzazione del manufatto sui bordi di acquasantiere e fonti permette di collocare la loro produzione dalla metà del XV secolo fino agli inizi del XVI.
Laura Marino, direttore Museo Diocesano di Cuneo